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cieloIl tempo scorre, il tempo passa, le cose invecchiano e i nostri sentimenti mutano forma, ma i ricordi si fortificano, diventano colonne della nostra esistenza. I ricordi come immagini di un albo fotografico della nostra vita forgiano la struttura del nostro carattere e , offrono una fonte unica alla quale possiamo ricorrere senza  lasciare sbiadire ciò che siamo.

Quel gennaio del 1994, quella domenica del 30 gennaio è incredibilmente ancora ancorata alla roccia della mia memoria. Se chiudo gli occhi, divento spettatore  di un film che conosco, ma che amo rivedere, quasi fosse un ponte d’incontro  quel luogo e quel tempo che segnarono l’addio, lo strappo.

Cara nonna, ti scrivo queste righe oggi a distanza di vent’anni, quando il tuo ultimo sorriso sigillò l’esperienza terrena, e tu partisti per il tuo lungo viaggio, verso il regno della speranza al quale tu con immensa fede tendevi. Vent’anni  un arco temporale enorme…

 

30 gennaio 1994

Ore 7.30 squilla il telefono di casa, domenica mattina, mi alzo … rispondo … la voce di mia mamma “ Vieni , fai presto … ci siamo”.

Fuori il cielo è tinto di un pallido azzurro, in lontananza nuvole stanche si appoggiano sulla cima dei monti.

Aspro risveglio, dopo una notte insonne, trascorsa nei presagi che ora diventano realtà;  vorrei rinviare questo momento, ma sono consapevole che non è umanamente possibile, non so se sono pronto a questa nuova iniziazione della vita, ma procedo, perché il fiume degli eventi, con la sua possente corrente mi trascina verso la foce del mistero. Raccolgo i miei abiti, ordinatamente posti la sera prima, mi vesto, riesco a prendere al volo la corriera che rincorro con il fiato sospeso. Ho poco tempo. Mi precipito in ospedale. Là, il luogo dell’addio eterno.

Salgo le scale, mi dirigo  all’unità di ostetricia; è stata ricoverata qui perché negli altri reparti era tutto esaurito; eterno conflitto tra Eros e Thanatos, … e penso qui nascono vite e lei sta per andarsene … chiedo alle infermiere il numero della stanza …, la raggiungo con il cuore in gola, eccomi sono davanti alla camera, la porta è chiusa, afferro la maniglia con la mano tremante. Apro. Entro.

Eccola sdraiata sul letto, accanto sua figlia, mia mamma … l’enfisema polmonare rende sempre più difficile il suo respiro, la guardo è ancora viva … lei mi rivolge la sua ultima attenzione, ed subito contenta, mi dona un enorme sorriso, vorrebbe parlare ma non riesce. Il suono della voce ha abbandonato già il suo corpo, trema, vuole dirmi qualcosa, non riesce, si sforza aggrappandosi alle poche energie che le sono ancora rimaste. La volontà di emettere parole, che ora sono pesanti e segnano una piccola sconfitta ci unisce in un dialogo sensazionale che solo la sfera delle emozioni può cogliere. Le sue parole sono prive di suoni ma comunicano ora con il suo potente sguardo, mi dice ti ho aspettato prima di andarmene e io la ringrazio , anch’io con gli occhi. Il suo viso scavato, con le guance risucchiate verso l’anima della nuova vita racchiudono questi veloci attimi, che mai dimenticherò. Il suo viso raccolto in cuscino stanco e sudato si adagia lentamente alla fine.

Accarezzo la sua fronte, fredda come non l’avevo mai sentita, ma gronda di sudore per le sue ultime fatiche … ha paura … i suoi occhi mi inseguono, felici … sembrano voler immortalare queste immagini, come serene compagne di un viaggio verso la verità che sta per accoglierla.

Guardo la mamma, e mi dice abbiamo pregato tutta la notte. Insieme , sai Massi abbiamo detto tanti rosari … Vieni anche tu, insieme tutti e tre … La preghiera, una fortezza, una fonte inesauribile che la accompagnata per tutta la vita.

La nonna vuole parlarmi, ci prova ancora, mi avvicino a lei, vorrei stringere la sua mano resa pesante dalla flebo che conta i secondi rimasti … mi guarda sorride, e allora dico “ mamma ora andiamo a Cortiglione, e ci rimaniamo , si a Cortiglione (il paese dove è nata mia nonna, e dove è ritornata dopo la pensione,rimanendoci sino a quando l’Alzheimer non la costretta a venire da noi).

Si andiamo a Cortiglione … la nonna mi guarda é felice, ha capito … il suo respiro sempre più affannoso, le macchine emettono suoni più agitati, scatta l’allarme … le infermiere irrompono nella nostra stanza, mi invitano ad alzarmi e lasciare la sua mano, intervengono, mi staccano … no vi prego … un’iniezione … sempre più faticoso respirare . Ci siamo.

Il suo volto si illumina, mi guarda ancora, una volta, l’ultima, … sorride … chiude gli occhi … per sempre.

Io piango. Il mio volto è travolto dalle lacrime, che scendono per il dolore che sto provando, forte, intenso e misterioso. Per la prima volta assaggio il distacco di un affetto. La morte non mi aveva, così mai tanto ferito. Prima di quel giorno non avevo voluto vedere nessun morto, mi faceva tremendamente paura, ma il mio destino per l’amore che provavo per quella donna mi ha voluto testimone del momento in cui la morte passa, e senza chiederci il permesso si porta via quello che consideriamo nostro, ma che in realtà appartiene a un mistero, grande quanto impercettibile.

Tutto questo in pochi secondi. A distanza di 20 anni penso sempre alla promessa che mi aveva fatto, “non morirò prima di averti salutato”. Promessa mantenuta.

Mi manchi tanto. I tuoi abbracci, le tue tagliatelle, le tue marmellate di more che preparavi per me … mi mancano tante cose … ma il tuo profumo vive nella mia memoria, ogni tanto mi sembra di percepire il tuo passo felpato, vorrei girarmi e sorprenderti nei tuoi lavori, come ti era caro fare.

Conservo ancora la coperta di lana, realizzata con maglioni disfatti. Tra tutte le cose che elimino, getto via, la tua coperta nonna, non la buttero mai via, mi accompagnerà sempre. Certo la mamma ha dovuto intervenire, riparandola, ricucendola là, dove si disfaceva. Su questa coperta, ancora il calore delle tue mani.

Ciao nonna! Non ti ho mai dimenticato.

30 gennaio 2014

Carlo Felice De FerrariPongo una domanda a me stesso ma, più in generale al sindaco Doria e alla sua amministrazione, che in merito al piano per salvare e rilanciare il Teatro dell’Opera Carlo Felice, dimostra di non riuscire ad andare oltre la caparbietà più ostinata. È possibile disquisire unicamente sul taglio delle risorse umane? È possibile che un sindaco di sinistra miri con giustificazioni, non sempre accettabili, a concentrarsi solo sul taglio del personale? Il salvataggio e il rilancio del Carlo Felice sono realizzabili esclusivamente spostando e rinunciando all’organico ? Sinceramente non si può accettare una posizione che testimonia la volontà di non procedere oltre il proprio naso.

Assurdo far credere che la legge Bray obblighi alla riduzione della dotazione organica del personale tecnico amministrativo; leggendo bene gli articoli che compongono la disposizione per il risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche emerge che gli interventi mirati alla riduzione del personale è previsto davanti ad una eventuale risultante eccedenza. Questa eccedenza eventuale deve essere definita unicamente dopo l’elaborazione di un piano industriale con programmazione triennale.

Doria commette un grave errore  sostenendo queste ipotesi: l’eventuale eccedenza di personale si potrà identificare solo dopo aver studiato una seria programmazione. Non è possibile affrontare il problema prevedendo un taglio senza aver prima delineato la funzionalità dell’Ente. Anche un bambino capisce che non si può costruire una casa partendo dal tetto.

Ho l’impressione che non esista una volontà concreta per realizzare un piano industriale in grado di rispondere alle richieste della Legge Bray, e trovo irresponsabile far pagare la propria inefficienza ad altri.

La Legge Bray è chiara e prevede “un piano di risanamento che intervenga su tutte le voci di bilancio strutturalmente non compatibili con la inderogabile necessità di assicurare gli equilibri strutturali del bilancio stesso, sia sotto il profilo patrimoniale che economico-finanziario, entro i tre successivi esercizi finanziari”.

Se dobbiamo richiamarci alle Legge Bray allora si espongano anche gli altri “contenuti inderogabili”, e non li si nascondano dietro un dito. Come per esempio:

“a)     la rinegoziazione e ristrutturazione del debito della fondazione che preveda uno stralcio del valore nominale complessivo del debito esistente al 31 dicembre 2012, comprensivo degli interessi maturati e degli eventuali interessi di mora, previa verifica che nei rapporti con gli istituti bancari gli stessi non abbiano applicato nel corso degli anni interessi anatocistici sugli affidamenti concessi alla fondazione stessa,(…)

b)     l’indicazione della contribuzione a carico degli enti diversi dallo Stato partecipanti alla fondazione;

c)      l’individuazione di soluzioni idonee, compatibili con gli strumenti previsti dalle leggi di riferimento del settore, a riportare la fondazione, entro i tre esercizi finanziari successivi, nelle condizioni di attivo patrimoniale e almeno di equilibrio del conto economico;

d)     l’obbligo per la fondazione, nella persona del legale rappresentante, di verificare che nel corso degli anni non siano stati corrisposti interessi anatocistici agli istituti bancari che hanno concesso affidamenti.”

Genova CasellaChe fine hanno fatto i lavori di manutenzione straordinaria previsti il località Fontanassa sulla linea Genova Casella ? A giugno mi ero pronunciato con soddisfazione per la programmazione dell’intervento, che prevedeva la sostituzione del vecchio ponte con una nuova struttura. La Regione Liguria infatti aveva stanziato circa 370.000 euro per provvedere alla messa in sicurezza della linea, lavori di natura inderogabile. Senza questa tipologia di intervento, il nostro tanto amato trenino di Casella si sarebbe fermato, e invece la volontà rappresentata dall’Assessore Vesco era accolta come elemento di garanzia. E tutt’oggi per me l’assessore regionale ai trasporti rimane l’unico riferimento di fiducia in questa complessa situazione.

In questi ultimi anni sono stati spesi molti soldi per il restauro della linea, con differenti interventi che hanno salvato il servizio e assicurato la ripresa. Quasi 4 milioni di euro ammonta il totale delle risorse impegnate, e altre con fatica si cerca di recuperarle per garantire il completo ripristino della ferrovia.

Purtroppo i lavori che dovevano iniziare, non sono ancora partiti, nel frattempo il trenino non circolo e il servizio è sostituito con bus. I lavori dovevano essere consegnati prima dell’autunno in prima istanza, in seconda prima di Natale e si era pensato aun’inaugurazione per il 6 di gennaio. Ma ad oggi noi non sappiamo ancora se gli interventi programmati, sia in Fontanassa che il località Orero, siano iniziati e non conosciamo a questo punto il termine reale per la consegna.  A questo punto non nascondo la mia totale preoccupazione: le risorse economiche ci sono, perché si tarda con l’avvio del procedimento? Non vorrei che la Ferrovia Genova Casella entrasse nel tunnel italiano di quegli appalti che iniziano ma non si conosce mai la fine. Una condizione, che mi auguro sia sfatata.

Nell’estate del 2012  il Consiglio Comunale di Sant’Olcese approvava due ordini del giorno, uno di maggioranza e uno della minoranza, con l’intento e l’impegno di lavorare per garantire un futuro al ”trenino di Casella”, sia sotto la valenza per in pendolari (studenti e lavoratori), sia sotto il profilo turistico. Tra qualche mese scadrà il mio mandato, le dichiarazioni rilasciate a Diego Curcio del Corriere Mercantile, rispondono a quell’impegno che ho ricevuto e che, seppur con molte difficoltà, cerco di onorare. Denunciare la mia preoccupazione spero possa aprire un margine di garanzia, che ad oggi stando le cose è molto limitato.

 

Qui sotto il testo pubblicato oggi sulle pagine del   Il CORRIERE MERCANTILE 

GENOVA-CASELLA, LAVORI AL PALO E TRENINO FERMO

Anche la seconda ditta vuole rinunciare. Tovo: “Serve chiarezza”

Da tre mesi, L’intervento di messa in sicurezza non è mai partito

“Il trenino di Casella è fermo da tre mesi. Quasi quanto sarebbero dovuti durare i lavori di manutenzione straordinaria per metterlo in sicurezza. L’intervento era previsto per la fine dell’estate, ma non è mai partito, nonostante la Regione Liguria (proprietaria della linea) abbia stanziato 370 mila euro. Più che corsi e ricorsi ai tribunali amministrativi – come avviene spesso in caso di lavori pubblici-  a bloccare i lavori 8 o sarebbe meglio dire a non farli neppure partire) sembra il solito pasticcio. Ed è la stessa Amt, che dal 16 aprile 2010 gestisce la storica linea ferroviaria a scartamento ridotto (uno degli ultimi casi in Italia), ad ammettere in effetti, qualche problema di natura economica con la ditta appaltatrice ci sarebbe (si parla addirittura di “precontenzioso” ).

Tutto nasce l’anno scorso quando l’Ustif (Ufficio speciale trasporti a impianti fissi), un organo periferico del ministero dei trasporti incaricato di verificare la sicurezza degli impianti (fra cui il Trenino di Casella), ha chiesto di sanare una questione che si trascinava oramai da 60 anni. Stiamo parlando del ponte in località Fontanassa (vicino a Sant’Olcese): una passerella “provvisoria” sistemata al posto del ponte vero e proprio che nel 1953 era stato spazzato via da un’alluvione. In sei decenni, però, come spesso accade in Italia, il ponte provvisorio non è mai stato sostituito ed è diventato definitivo (senza però esserlo davvero). E così si è deciso, finalmente, di intervenire. A pagare i lavori c’ha pensato la Regione mettendo sul piato 370 mila euro. E visto che l’autorizzazione del trenino sarebbe scaduta – in mancanza di restyling del ponte – il il 30 settembre, si è deciso di far partire l’intervento- stimato in 120 giorni – ad agosto. Rinunciando a parte della stagione turistica si sarebbe evitato di incidere troppo sul trasporto pendolare (secondo i dati di Amt si tratta di 250 mila passeggeri all’anno su circa 10 copie di treni al giorno). A quel punto è partita la gara di appalto, ma la ditta vincitrice, all’ultimo ha deciso di rinunciare. La ferrovia scartamento ridoto è rimasta aperta grazie a una proroga di poco più di un mese, ma ha dovuto chiudere nei primi dieci giorni di novembre, con la promessa che i lavori sarebbero partiti, dopo una seconda gara, il mese successivo. A fine gennaio, però ci troviamo al punto di partenza. La linea è chiusa- anche se Amt ha istituito un servizio sostituivo di autobus che copre l’intera tratta- e i lavori non sono mai iniziati.

A puntare il dito contro l’Azienda genovese è Massimiliano Tovo, segretario provinciale dell’UDC e assessore ai Trasporti di sant’Olcese (il comune che ospita il 70 % delle fermate del trenino). “ Amt è evasiva sul destino della Genova – Casella- accusa Tovo- Durante una riunione di alcune settimane fa il presidente Ravera non sapeva neppure se i lavori fossero iniziati o meno. Per risistemare questa linea sono stati spesi 4 milioni di euro e sono stati persino progettati nuovi treni. Ogni anno il governo stanzia una cifra ben precisa per la Genova – casella, non vorrei che quei soldi, con la scusa che la linea è chiusa, venissero usati per ripianare il debito di Amt.”

Preoccupato per i lavori che stentano a partire anche l’assessore ai Trasporti della Regione Enrico Vesco, che presto convocherà i pendolari. “Abbiamo intimato al comune di Genova e ad Amt, che hanno gestito la gara, di far ripartire i cantieri – sottolinea l’esponente della giunta ligure- Sappiamo che anche con la seconda ditta ci sono dei problemi. Ma visto che paghiamo per questo servizio, vorremmo che si arrivasse il prima possibile a una soluzione”. Diego Curcio , 28 gennaio 2014

Ascolta l’intervento a Primocanale 

giornata della memoriaOnorare la memoria nell’azione del presente vuol dire guardare a un futuro migliore. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno conosciuto l’orrore inimmaginabile dell’olocausto, ma hanno anche combattuto perché la follia dell’odio, delle guerre e del razzismo fosse emarginato ai confini dell’umanità. Ricordare per non dimenticare, è l’onere della responsabilità che abbiamo nel tramandarci gene razionalmente. Queste parole appartengono al mio pensiero lontano da ogni possibile richiamo retorico. Il giorno della memoria non è una data di festa, ma uno specchio in cui il ricordo orribile del genocidio, che ha visto oltre 6 milioni di Ebrei morire per questioni razziali e di odio,  non sia dimenticato: una macchia indelebile  che deve guidarci a emarginare tendenze replicanti. Dobbiamo prestare la massima attenzione, oggi più che mai, perché lo spettro degli estremismi non smette mai di soffiare su questo nostro continente che si chiama Europa. Le conseguenze derivanti dalla grande crisi economica che sta interessando la nostra società, presentano sintomi facilmente identificabili con quei segni  che germogliarono a partire dal 1914: l’esisto in cui sfociarono lo conosciamo tutti.  Dobbiamo essere capaci di respingere ogni deriva disumanizzante e costruire insieme l’Europa dei popoli. Un caro saluto ai nostri fratelli maggiori, ai nostri fratelli ebrei: la giornata della memoria non sia solo un appuntamento cerimoniale ma un confronto con la storia che purtroppo non possiamo cancellare e non dobbiamo assolutamente dimenticare. La storia nel suo continuo inarrestabile ciclico divenire  tende a ripetere gli eventi; spetta al genere umano raggiungere quel grado di maturità degno per poter definire una civiltà compiuta. Collaborare alla costruzione di una civile civiltà è una responsabilità di tutti, nessuno può esimersi da questo richiamo. Nessuno può chiamarsi fuori da questa sfida. La paura la si respinge allontanando lo spirito dell’odio che tende a impossessarsi dei nostri pensieri e delle nostre azioni. La storia non è solo quella che apprendiamo dai libri, ma è soprattutto quella che facciamo ogni giorno.

 

Una ricetta semplice e veloce da prepare anche in casa. Un modo diverso e gustoso per proporre sulle nostre tavole i finocchi cotti.torta finocchi

Cosa serve

4 finocchi

150 g di stracchino

50 g di parmigiano

Pasta brisée

Burro

1 bicchiere di latte

Sale e pepe quanto basta

Come procedere

Mondate i finocchi e  tagliateli a spicchi sottili. Una parte di finocchi fateli rosolare in una padella con poco burro, nel frattempo foderate una tortiera rotonda con la pasta brisée, e adagiate formano uno strato i finocchi rosolati. Date un leggero bollore agli altri finocchi, scolateli e fateli saltare in padella con un po’ di burro, sale e pepe.  Quando hanno assunto un buon colore, bagnateli con il latte, fate asciugare,  aggiungete il parmigiano e lo stracchino. Mescolate tutto, e posate questa farcia sullo strato di finocchi già adagiato. Spolverate con parmigiano e infornate a 210 g, cuocete per 25 minuti.

Servite con un Dolcetto del Monferrato

SovranitaLa discussione in atto sulla riforma elettorale, obbligata e non più rinviabile anche in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale, evolve in costruzioni sempre più arzigogolate e tendenzialmente più lontane dall’effettiva volontà popolare.

Le proposte, che emergono da un dibattito sterile e condannato a salvare le pulsioni egocentriche, creano una situazione imbarazzante se non demagogica , con presupposti che fondamentalmente dimostrano di non aver ricevuto l’indicazione, se vogliamo anche subdola, contenuta nella sentenza che ha riconosciuto l’illegittimità del porcellum.

La premessa di una buona legge elettorale presuppone l’attuazione  di un processo selettivo della classe dirigente. I principi che determinano la tecnica di un modello elettorale devono rispondere a criteri volti a garantire la piena facoltà attiva dell’elettore. Introdurre meccanismi, che discriminano l’egualitarismo dell’espressione popolare del voto, conduce pericolosamente a una deriva anticostituzionale. Sostenere sistemi elettorali che propongono nella forma, palese o meno, l’emarginazione e ogni capacità di manovra del corpo elettorale, si contraddice con   l’impegno di far crescere la partecipazione democratica. La responsabilità della classe politica deve saper cogliere l’essenza costituzionale, in un impianto che regola la democrazia elettiva.

Se non emergeranno condizioni nuove ed efficacemente risolutive, la parabola discendente dell’ideale democratico che aprirà la strada  alla democrazia illusoria sarà uno sfondo sempre più reale e meno teorico.

L’Italia è passata, negli ultimi vent’anni nei tentavi riformatori, da una esasperata partitocrazia al personalismo della politica, il cui comune denominatore tende a una  forma di antiparlamentarismo strisciante e ad una negazione del valore fondante del momento elettorale.

La nuova legge elettorale deve essere un’occasione per riappropriarsi del tempo perduto, rivitalizzando il circuito della rappresentanza politica e rivalorizzando gli strumenti del “sistema elezione” nel pieno rispetto dei valori costituzionali.

L’espressione del voto non può essere ridotta all’autodeterminazione di una nuova elite oligarchica.

Il porcellum ha creato una frattura tra Paese legale e reale, con il conseguente calo vertiginoso della partecipazione e del consenso, che ha assecondato  l’esclusione politica del “demos”, favorendo il complesso della disaffezione. Non è un caso che il cosiddetto fenomeno dell’astensionismo abbia toccato nelle ultime tornate elettorali record per la democrazia italiana, sino ad oggi inimmaginabili. (nel 1976 l’astensionismo era pari al 6,6%, nel 2013 è salito al 25 % quasi, 11 milioni di persone hanno scelto di non partecipare al voto, una dato che deve indurre a una riflessione responsabile. Sotto diversi aspetti può essere considerato la prima forza politica del Paese, se si ragionasse per teoremi assurdi, avanti di questo passo, il premio di maggioranza, previsto dalla proposta Renzi potrebbe proprio aggiudicarselo il partito dell’astensionismo. Chiaramente questo mio ultimo pensiero è una provocazione.)

Siamo davanti a una lacerazione  culturale che sta depauperando il carattere semantico della democrazia; l’elaborazione di nuove leggi non può passare dalle illusioni baroccheggianti agli “ismi roccocheggianti” della politica. L’impostazione correttiva del porcellum esige non strategie alchemiche ma interventi ponderati.

Il premio di maggioranza come proposto risulta spregiudicato e favorisce l’avvento del governo della miglior minoranza, alterando di fatto il risultato elettorale.

La non cancellazione delle liste bloccate priva l’elettore della suo libero esercizio di voto, in quanto rimane vincolato a scelte determinate e blindate che non gli consentono di scegliere liberamente.

Non dimentichiamo che “ l’essenza e il valore di un sistema elettorale in un Paese democratico è rappresentato dal diritto degli elettori di scegliere essi direttamente gli eletti. Se questo viene meno , ciò che si pone in discussione non sono le forme ed i limiti dell’esercizio della sovranità poplare, ma la soggettività giuridica e politica del corpo elettorale come tale”. (G. Azzariti)

Le liste bloccate limitano la legittimazione diretta dei rappresentanti da parte del “popolo sovrano”, riducendo la rappresentanza politica ad una “crassa finzione”. Fattore caratterizzante delle cosiddette democrazie emotive.

Si tratta di uno strappo profondo dove la distanza progressiva che separa gli elettori dagli eletti, i cittadini dai partiti tende ad aumentare in una preoccupante inversione di fattori.

leggeelettoraleLe riforme elettorali si fanno non per impedire a qualcuno di entrare in parlamento, n’è tanto meno per garantirsi a colpo sicuro la vittoria. Il problema principale di una legge elettorale sta nella garanzia della rappresentanza democratica e della governabilità.

Il dibattito sulla questione elettorale a cui assistiamo in questi giorni, appartiene a una deludente goldoniana rappresentazione della politica.

Si può fare di più e certamente meglio; il “mattarellum” nacque sotto gli stessi astri nefasti, e non aprì a una fase migliore, anzi, peggiore che sfociò poco più tardi nel famoso “porcellum”.

L’Italia maggioritaria, che doveva nascere dal crollo della Prima Repubblica e in seguito agli scandali di tangentopoli, si palesò invece in una stagione di logoramenti deistituzionalizzanti, dalla quale oggi è urgente uscirne fuori. Si parlava allora di una legge elettorale che avrebbe garantito governabilità e che avrebbe portato l’Italia a raggiungere le democrazie occidentali moderne, eliminando i partiti minori per favorire un sistema bipartitico: il periodo del Pentapartito doveva essere consegnato alla storia e i ricatti dei piccoli partiti avrebbero dovuto rimanere un vano ricordo. Questi presupposti rimasero nelle pagine dei comizi elettorali, e l’Italia bipolare che andava nascendo favoriva di fatto, in Parlamento,  la proliferazione di partitini, spesso fondati su leaderismi soggettivi pronti a rispondere al miglior offerente governativo.

Neppure le commissioni bicamerali riuscirono ad assicurare al nostro Paese il riformismo tanto auspicato, e il gattopardismo cambiare tutto perché nulla cambi ha finito per caratterizzare questo ultimo ventennio.

La democrazia ha subito pesanti ripercussioni, ancora oggi difficili da intravvedere, ma che segnano una profonda crisi di sistema.  Occorre tracciare l’avvio di una strada nuova, ripercorrere direzioni già conosciute senza sbocco, a vicolo cieco, eleva il rischio di default per il nostro Paese. Impariamo a leggere la storia per non ripetere gli stessi falli, e trarre dalla memoria degli errori insegnamenti idonei a non ripeterli.

Sulla riforma elettorale, da due anni a questa parte, sono convinto che esista un sistema dal quale si possa partire come riferimento rappresentato dal modello per l’elezioni dei sindaci o dei presidenti delle regioni, che consente governabilità, bipolarismo, rappresentatività e alternanza, conferendo all’elettore la possibilità di scegliere attraverso la preferenza il candidato che ritiene più opportuno. Non sostengo che la riforma elettorale per il Parlamento debba necessariamente ricalcare quella dei sindaci o governatori regionali, ma desidero richiamare l’attenzione su un sistema che ha dimostrato di funzionare: partiamo, allora, da questa base; inutile ripetere le ricerche di modelli da importare oggi dalla Spagna più tosto che dalla Germania, Francia o Inghilterra. Si tratta di strategie di marketing preelettorale che non conducono da nessuna parte, ma contribuiscono ad accelerare verso la distruzione totale.

Bene Renzi quando affermava sotto l’albero di Natale una riforma elettorale che partisse proprio dai sistemi dei sindaci; deludente Renzi quando dal mazzo delle carte getta  un asso scaduto come la proposta spagnola: non abbiamo bisogno di copiare da altri soprattutto se questo serve per garantire la prosecuzione dei nominati. “Gira la ruota” , Renzi, e cerca una soluzione vincente, questa sembra scivolare sul “perde tutto”. Questa volta la montagna ha partorito un “porcellino”, che consentirà con pochi trucchetti di aggirare la sentenza della Corte Costituzionale, ma non di garantire un impianto elettorale efficace e favorendo l’instaurazione della classe oligarchica.

 

 

atpLe difficoltà per il piano di restauro aziendale di ATP non mancano,anzi sembrano aumentare gli ostacoli. I Comuni serviti dall’azienda provinciale di trasporto pubblico, impegnati da anni per fronteggiare la crisi che sta colpendo il settore, sono tra l’incudine e il martello, con la richiesta di nuovi sacrifici e proposte di ricette già sperimentate per azioni che lasciano con il sorriso amaro e poche certezze.

È estremamente difficile dire se il piano aziendale che ATP sta studiando consentirà di salvarsi e assicurare un futuro migliore evitando il definitivo fallimento. Il clima è tutt’altro che rassicurante, è le preoccupazioni tendono a salire con note anche di rassegnazione.

L’incontro che abbiamo avuto ieri in Provincia, convocato dal Prefetto di Genova, non ha lasciato margini di speranza; i contenuti della relazione che il Prefetto di Genova ha presentato nel corso della sua esposizione, hanno sottolineato tutte le criticità che da tempo conosciamo, con scadenze importanti che dovranno essere osservate altrimenti non sarà più possibile salvare ATP.

Il prossimo 8 febbraio scade il termine per presentare il piano industriale come richiesto dal tribunale che sta monitorando il fallimento.

Le linee guida, sintetiche e approssimative del piano aziendale per il biennio 2014/2015 che mirano a una ricapitalizzazione del debito, si sviluppano essenzialmente su due direttrici: aumentare i ricavi e diminuire i costi. Per i ricavi si prevede un aumento dei biglietti, degli abbonamenti, delle sanzioni amministrative e una dura lotta all’evasione; mentre sul piano dei costi coinvolge i contratti di locazione, manutenzione e nota dolente i lavoratori.

Sinceramente, come ho avuto modo di affermare nel corso della riunione, questo intendimento, che nel modo e metodo che ci è stato presentato appare solo come una bozza priva di numeri sostanzialmente valutabili, presenta una ricetta che conosciamo, e un film già visto le cui soluzioni derivabili mi lasciano molte riserve e perplessità.

Sì perché l’unica novità rispetto ai precedenti piani industriali riguarda la diminuzione dello stipendio dei dipendenti; gli altri elementi hanno dimostrato la totale inefficacia , e sotto certi aspetti hanno alimentato ulteriormente lo stato di crisi. In questi anni la qualità del servizio erogato da ATP si  è verticalmente ridotta: parallelamente all’aumento tariffario del titolo del  viaggio (biglietto o abbonamento) è stato corrisposta una razionalizzazione che ha indotto un numero significativo di utenti ad abbondanare la azienda ricorrendo ad altre tipologie di trasporto che spesso e volentieri corrispondono con un mezzo privato. Guardando i dati visibili sul sito web di ATP si riscontra che nel 2010 l’azienda aveva servito circa 10 milioni di viaggiatori, nel 2012 due anni dopo, inseguito alle politiche gestionali dei nuovi piani industriali, il crollo del bacino degli utenti segnava la perdita di due milioni di viaggiatori. Numeri che parlano da soli, non comprendo l’ostinazione con la quale si sta procedendo.

I Comuni, come Sant’Olcese, si assumeranno la loro responsabilità per salvare ATP, anche se ed è doveroso sottolinearlo non è loro competenza correggere i gravi errori amministrativamente commessi: l’aumento del 10% in più nella quota di compartecipazione all’accordo di programma richiederà nuovi sacrifici, affrontando tra l’altro i vincoli del patto di stabilità, ma mi chiedo se il gioco varrà la candela. In parole povere non vogliamo buttare altri soldi dalla finestra, per un’azienda, che considerate le attuali condizioni, difficilmente si salverà. O cambia l’attenzione a livello nazionale o attenuanti non esistono.

Teatro-Carlo-Felice-di-GenovaL’allarme lanciato ieri da alcune organizzazioni sindacali, sulle ulteriori preoccupazioni che interesserebbero il Teatro dell’Opera Carlo Felice, obbliga ancora una volta ad osservare la massima attenzione sul piano di risanamento che dovrebbe essere approvato dall’attuale Cda.

Nessuno, in particolar modo gli esponenti politici della nostra città, può concedersi il lusso di considerarsi non corresponsabile sul futuro dell’Ente lirico genovese, in un momento storicamente sensibile come questo; tutti si adoperino affinché sia individuato e consegnato al Ministero dei Beni Culturali un piano strategico efficiente, al fine di  garantire le condizioni di restauro economico e di rilancio che necessitano urgentemente per il Teatro dell’Opera di Genova.

I recenti successi registrati dal botteghino hanno dimostrato che i presupposti esistono, e a rigore delle tesi sempre sostenute in merito alle potenzialità del Carlo Felice, siano escluse una volta per tutte  soluzioni differenti e lontane da quelle previste dalla Legge Bray, che mirerebbero invece a distruggere questo ricco patrimonio culturale: un’opportunità reale di crescita economica per la nostra città.

Se dovesse emergere uno stato di inerzia da parte dei vertici della fondazione del Carlo Felice, tale da comprometterne la partecipazione ai benefici compresi nella Legge 112, sarebbe, di fatto, annullata l’unica occasione di speranza per il futuro del Teatro.

La preoccupazione espressa dalle organizzazioni sindacali, che hanno a cuore la programmazione dell’Ente lirico, non può non richiamarci a una forte presa di coscienza. E su questo atto di responsabilità mi auguro di non rimanere solo e di vedere una larga adesione, soprattutto dalla maggioranza politica che governa questa città. I silenzi troppo perpetrati possono condurre ad effetti collaterali dalle difficili previsioni.

Spero che le allusioni denunciate nella lettera inviata al Ministro Bray, da parte delle organizzazioni sindacali, siano sfatate. Il Carlo Felice ha pieno diritto di essere ammesso  alle opportunità  rappresentate dalla legge 112: non vorrei assistere ad una eventuale esclusione del Teatro Carlo Felice, che rivelerebbe una nuova sventurata sorte, conferendo un triste primato che deve essere assolutamente evitato.

La situazione è preoccupante, serve chiarezza onde allontanare l’ombra di ogni sospetto; auspico in un intervento diretto del Ministero dei Beni Culturali per intraprendere  un’azione di controllo e di garanzia sulle procedimenti in atto da parte della Fondazione Teatro Carlo Felice.

Mi riservo di contattare direttamente le Presidenze delle Commissioni Parlamentari che hanno licenziato la Legge Bray, affinché  sia intrapresa ogni iniziativa volta a garantire, se ne fosse accertata la necessità, un’indagine a scopo precauzionale.

La lettera delle organizzazioni sindacali( Uilcom-Uil,Snater, Fials-Cisal) denunciano preoccupazioni che non possono essere disattese.

sentenzaSe esistono delle irregolarità in merito alla gestione o al processo di un risultato elettorale, è opportuno procedere nell’immediato per verificarne l’autenticità. Le elezioni consentono ai cittadini di scegliere chi e quale maggioranza dovrà governare una legislatura; è quindi importante che avvengano in merito alle leggi e ai principi stabiliti secondo il canone della democrazia.

Se si sono riscontrati illegittimità  gravi prima, durante o dopo l’esercizio del voto, tali da mettere in discussione l’esito di un’ elezione,  è doveroso  un indifferibile accertamento per assicurare che il diritto stesso del voto non sia stato inquinato e leso. Davanti a manifestazioni che inducono all’incertezza, come si è verificato per il risultato delle regionali del Piemonte nel 2010, occorreva un’indagine celere  ed efficiente, mentre la sentenza del TAR di ieri ha messo in risalto il contrario.

Qualcuno potrà gridare “giustizia è stata fatta” qualcun altro invece al “colpo di stato”, introducendo e cavalcando un esasperato tornello elettorale; ma l’interrogativo che la politica deve porsi ruota intorno alla garanzia della partecipazione democratica. Non si può prestare la funzione della sovranità popolare a una sentenza del TAR, nel senso che non è salutare alla democrazia l’attesa di 45 mesi per comprendere la veridicità di una competizione elettorale. Troppo lungo il periodo di aspettativa che ne svilisce l’autorevolezza del pronunciamento di fine indagine, minando la credibilità delle istituzioni.

La vicenda Piemonte occupa da ieri una delle più tristi pagine della storia democratica di questo Paese; occorre assicurare la certezza dei diritti come il voto, attraverso il quale il popolo sovrano esprime la sua volontà. Si dice che dagli errori bisogna trarre insegnamenti, auspico,quindi, che davanti ad una prossima e ipotetica esitazione di un risultato elettorale sia garantito  un immediato intervento della giustizia: la salvaguardia della democrazia non può sottostare alla indolenza