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La regione Sicilia vara la riforma e abolisce le province. Non conosco nel dettaglio  la proposta, ma identifica una profonda volontà di cambiamento che proviene da una Regione autonoma, dando al Paese un bel segnale, un notevole esempio. Dunque l’annosa questione dell’abolizione o taglio delle province, tanto pronunciata dai programmi elettorali ma poi in definitivo ferma ad aborti mostruosi, figli di un populismo che non risolvono le vere problematicità. Genova non è più provincia oramai da quasi un anno, e si è avviata fase costituente della città metropolitana.  Qui di seguito, propongo la relazione sulla realizzazione di Genova città metropolitana presentata, in qualità di segretario cittadino dell’UDC,nell’autunno 2012, uno spunto per riflettere.

RELAZIONE

LA CITTA’ METROPOLITANA, QUALE MODELLO COSTRUIRE PER GENOVA

italia_1_200La crisi internazionale che coinvolge anche il nostro Paese sottolinea che non la si può affrontare con leggerezza o misure destinate ad essere inique. L’esigenza di intervenire con misure incisive e definitive anche nel riordino degli enti locali, avrebbe dovuto portarci non solo a un semplice riordino delle province, ma alla sua totale abolizione. La revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa, deve coincidere con l’impegno ad abolire o a fondere alcuni strati intermedi. Con il Decreto Legge 95/2012 in particolare articoli 17 e 18 , convertito dalla L. 135/2012, in vigore dal 15 agosto 2012 si riconosce al Governo Monti di aver iniziato coraggiosamente il percorso di riforma, anche se si intravvedono alcuni rischi che potrebbero comprometterne l’iter conclusivo.

Crediamo che il processo inaugurato dalla cosiddetta “Spending Revieu” debba andare in direzione di una maggiore semplificazione atta a non complicare la vita, pertanto l’assicurazione per garantire i servizi ai cittadini, alle famiglie e alle imprese, è per noi un dato irrinunciabile. Questa fase di revisione degli assetti istituzionali deve essere intesa come l’occasione per ridefinire la struttura periferica dello Stato affinché sia possibile riarticolare la gestione dei servizi locali e dei compiti istituzionali sulla base delle nuove aggregazioni. Deve essere l’occasione per compiere il primo passo verso la costruzione di un sistema istituzionale più efficace ed efficiente, insieme competitivo e trasparente.

“Non serve un riordino delle Province, una ridefinizione degli enti se alla fine del percorso avrà prevalso il detto “tutto deve cambiare perché tutto deve restare come prima”.

La soluzione adottata con decretazione d’urgenza nel provvedimento di revisione della spesa pubblica, sotto certi aspetti appare troppo affrettata e si offre a diverse critiche per i molteplici argomenti didebolezza e di ambiguità.

Nell’ambito della stagione delle riforme tanto annunciate e mai terminate, si evidenzia, da molti anni, l’esigenza di creare un’innovativa forma di governo idonea per le grandi strutture urbane. Ovvero, per quelle aree, non necessariamente molto estese, ad alta ma anche a bassa densità, costituite, di regola, dal Comune capoluogo e da altri comuni in contiguità territoriale, da centri e periferie, da aree forti per economia e servizi e da aree deboli, dove risaltano relazioni economiche e culturali fortemente integrate e interessi complessi che superano i singoli confini comunali.Realtà dove è presente una domanda di fruizione comune di servizi che si configurano sempre più come un unico complesso, strettamente integrato.

Il fenomeno, che ha caratterizzato le grandi città del continente europeo e non solo, creato all’origine dall’avvento della società industriale, con il passare del tempo si è aggravato per gli effetti della globalizzazione e la presenza in questi territori di un numero sempre più crescente di non residenti “fruitori” giornalieri o per periodi limitati nell’anno dei servizi urbani (turisti, uomini d’affari, studenti, ecc).

Successivamente sono cresciute concentrazioni urbane, e, più in generale, le cosiddette “città diffuse o esplose” , quelle che si estendono nel territorio contiguo ai propri confini convenzionali e diventano luogo di intersezione, e, nello stesso tempo, di frammentazione, di diverse relazioni economiche, sociali e culturali.

Questo fenomeno per la complessità e varietà delle problematiche sottese, non e gestibile, con efficienza ed efficacia, con le strutture amministrative locali tradizionali (comuni e province), e perquesto motivo deve essere affrontato con altri modelli di governo; anche perché i comuni capoluogo di queste realtà urbane si trovano sempre più in affanno nel governare le problematiche dell’area, che interessano oltre i loro confini municipali, quali i trasporti, la qualità dell’ambiente, l’organizzazione e gestione dei rifiuti, la viabilità, ecc.

I progetti di istituzione delle città metropolitane nel corso degli ultimi 20 anni sono stati diversi ma sino ad oggi disattesi (fatta eccezione per la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, dove l’ente”città metropolitana” ha ottenuto, il pieno riconoscimento costituzionale artt. 114, 117,118 e 119 Cost.): dal primo più datato della legge n. 142 del 1990 (artt.17- 21), all’altro del testo unico degli enti locali n. 267 del 2000 (artt. 22 – 27), per passare alla Legge Loggia del 2003, a quella più recente sul federalismo fiscale L. n. 42 del 2009 (art. 23).

La questione è rimasta irrisolta per differenti ragioni: per un verso, la difficoltà di applicare il modello di governo unico e non differenziato della sovracomunalità, e per l’altro, l’esistenza di forti veti istituzionali incrociati, che hanno paralizzato l’azione delle regioni e delle autonomie locali.

La questione delle città metropolitane, dopo disparate e disorganiche modifiche, ha trovato, quindi, il suo rilancio in un provvedimento di decretazione d’urgenza, estraneo alla materia del riordino istituzionale e dedicato alla revisione della spesa pubblica per centrare gli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei. Mentre sarebbe stato auspicabile che la regolamentazione definitiva di questo nuovo ente fosse contenuta nella nuova Carta delle Autonomie, giacente da tempo in Parlamento (ddl S. n. 2259), ossia in un progetto organico di ridefinizione del sistema delle autonomie locali.

Nel sottolineare l’importanza di un nuovo assetto istituzionale, in grado di accogliere le nuove sfide introdotte dall’era globale, la città metropolitana quale nuovo ente dovrà essere la sintesi di quanto sinora affermato. L’articolo 18, della Legge 135/2012, che va modificando alcune realtà provinciali, presenta a nostro avviso caratteri di difetto costituzionale. La disposizione risulta non propriamente chiara, a tratti confusa e di complessa applicazione con il rischio di ulteriori aumenti di costi specie, in quelle realtà in cui sarà attuato il previsto frazionamento del capoluogo in più comuni.

È opportuno evidenziare, per diverse ragioni, la prevedibile vulnerabilità sotto il profilo di un eventuale scrutinio di costituzionalità, per almeno tre aspetti fondamentali:

1) La scelta dello strumento della decretazione d’urgenza, in mancanza evidente dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 della Costituzione;

2) Lo scioglimento anticipato degli organi eletti a suffragio universale e diretto, prima della loro naturale scadenza, in violazione degli articoli 1, 5 e 114 della Costituzione;

3) La configurazione della città metropolitana come ente di secondo grado, in contrasto con gli articoli 5 e 114 della Costituzione.

Sottolineiamo tra l’altro nelle anomalie contenute in questa disposizione, il riferimento alla metodologia elettiva, la dove si adotterebbe il modello di secondo grado introdotto dal decreto “Salva Italia”. Infatti su questo è da riferire un ricorso presso la Corte Costituzionale sulla legittimità costituzionale dell’articolo 23 che introduce il modello elettivo di secondo livello. Se la Corte Costituzionale dovesse riconoscere la non legittimità, quali sarebbero gli effetti? Soprattutto davanti a questo quesito perché proporre, e quasi imporre questo modello per l’elezione per la città metropolitana ?. Noi crediamo nei modelli partecipati e democratici, dove le diverse espressioni territoriali sono garantiti e rappresentati: questa scelta non troverebbe garanzie per le minoranze, ecco perché siamo estremamente convinti che l’unico metodo elettivo adottabile, per la città metropolitana, sia il suffragio universale, l’elezione diretta, di difficile realizzazione attenendosi all’attuale disposizione, se non spacchettando il capoluogo , come alcune altre realtà politiche hanno di fatto pensato. Ma questa scelta comporterebbe a un ulteriore aumento di costi, e altre problematiche, ed è il motivo che se pur coraggiosa nella sua enunciazione, considerando gli eventi odierni, non possiamo, in questa fase, condividerne la sostanza.

Il progetto così predisposto è destinato ad un probabile insuccesso e, se attuato, rischia di consegnare alla collettività solo una nuova provincia, rinominata “città metropolitana”; lo stesso ente provinciale rafforzato nelle funzioni di area vasta, ma fortemente indebolito nella sua rappresentatività democratica della collettività amministrata a causa dell’elezione indiretta dei suoi organi di governo. E noi questo modello non possiamo condividerlo ne tanto meno sostenerlo.

Occorre puntare sulle funzioni della futura città metropolitana, non possiamo fermarci a fermarci alla configurazione della Provincia, la sfida vera è andare oltre, gli esempi in materia non mancano, spetta al legislatore cogliere questa opportunità.

Per esempio si potrebbe provvedere un intervento sulla non ben definita funzione fondamentale relativa alla “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, arricchendola di contenuti in rapporto di competenze con Stato e Regioni.

Basti pensare, ad esempio, al tema delle vertenze per esuberi lavorativi delle grandi aziende, degli incentivi alle imprese, del sostegno ad infrastrutture e telematica, all’operato di promozione delle Camere di commercio.

La città metropolitana per essere realmente utile e diversa dagli altri enti locali dovrà assumere specifiche competenze, sottratte a Stato e regioni o, in alcuni casi, in concorso con esse, finalizzate allo sviluppo economico. “I grandi appalti per i nodi autostradali, gli aeroporti; le vertenze sulle crisi aziendali delle grandi aziende (che impiegano generalmente lavoratori dell’hinterland); le iniziative di promozione dell’economia e delle aziende anche all’estero (caso Expo, ad esempio). Sono queste, per fermarsi a qualche esempio, le funzioni che dovrebbero caratterizzare la città metropolitana di Genova per rendere davvero utili per il territorio.”

Siamo sinceri, avremmo preferito un iter più razionale, che partisse prima dalle funzioni della città metropolitana per poi giungere alla definizione territoriale con la totale abolizione delle Province.

Così non è stato, ma con grande senso di responsabilità che ci contraddistingue nel panorama politico locale e nazionale, accettiamo la sfida non con la cultura del no, ma con la consapevolezza che è ora di rimboccarsi le maniche: ce lo chiede la storia, ce lo chiedono le giovani generazioni.

Nell’espressione di questa relazione non abbiamo fatto mancare le nostre osservazioni, anche critiche ma pertinenti al conseguimento di un obiettivo che non possiamo più permetterci di rimandare ulteriormente.

Abbiamo delineato alcuni elementi che a nostro avviso potrebbero compromettere il risultato finale, ed esprimiamo parere favorevole nel riconoscere la città metropolitana quale nuovo Ente locale. Il nostro contributo è diretto a eliminare ogni possibile rischio di default del processo istituivo, e mira alla realizzazione di una città metropolitana funzionante ed efficace, per questo motivo invitiamo a non perdere tempo a non trasformare questa opportunità in ennesimo buco nell’acqua. Crediamo per questo motivo che il margine di tempo, con scadenze che ci sembrano troppo rigide, dovrebbe essere rivisto consentendo un apporto di migliore qualità nella definizione di questo nuovo sistema locale.

La città metropolitana può e deve essere lo strumento per dare vita a un Ente nuovo, moderno, trasparente ed efficace per affrontare le nuove dimensioni che la società globalizzata presenta.

Grazie a tutti per il grande senso di partecipazione e collaborazione offerta nell’analisi di questa tematica, punto cardine per la Genova del futuro, la Genova del domani.

Di Karol Wojtila si diceva “un uomo venuto da molto lontano”, qualcuno lo cantava pure, di Jorge Mario Bergoglio si dirà un “Papa trovato alla fine del mondo”.

Francesco, il nuovo vicario di Cristo, il nuovo pastore e vescovo di Roma ha iniziato il suo cammino pontificale bergoglioimponendo uno stile sobrio, semplice con un linguaggio diretto e immediatamente comprensibile. Un uomo umile che affacciandosi dalla loggia in piazza San Pietro, con il suo “Buonasera” ha rotto ogni schema, ogni barriera: è entrato nelle case, nei cuori di tutti conquistando un’attenzione speciale, cercando subito un dialogo.

Un uomo che ha saputo vivere da cardinale in modo umile in mezzo ai fedeli della sua diocesi; un uomo che ha sempre rifiutato i fasti, i decori di una aristocrazia ecclesiastica poco incline alla vera missione di Cristo. Francesco sarà il vescovo di Roma che non rinuncerà alla sua personalità nella difficile conduzione del mandato che gli è stato appena conferito. E se il buongiorno si vede dal mattino, nel commentare e immaginare il suo pontificato, attraverso i semplici gesti emersi nell’arco delle prime ventiquattrore e confermati nei giorni successivi,  cresce una forte speranza che guarda a una Chiesa più vicina all’uomo moderno: una Chiesa che non abbandona il suo gregge, ma lo cerca, lo protegge, lo serve e lo accetta perché evangelizza , perché annuncia l’amore di Dio che è grande, rispetto al limite egocentrico umano.

Papa Francesco ha eliminato immediatamente quei residui dell’assolutismo monarchico: prima di benedire ha chiesto di essere benedetto; si è inchinato di fronte ai fedeli, segno di una nuova e più vera regalità, il servo dei servi che chiede un riconoscimento fraterno: “vi chiedo un favore”  parole pronunciate che annunciano una forza dirompente ma ancora più potente del famoso discorso  “della carezza della luna”.

Dalla Capella Sistina ha celebrato la sua prima messa da Papa rivolgendosi ai cardinali con un discorso pronunciato a braccio: il Papa non è più re, ma più umano, più vicino al suo popolo, un fratello in mezzo ai suoi fratelli e alle sue sorelle.

Parole semplici ma ricche perché vere e fuori da schemi barocchi. “Non cediamo mai al pessimismo, mai” “ Fratelli cardinali la maggior parte di noi … siamo nella vecchiaia, mi piace guardare alla vecchiaia come la sapienza. Doniamo la sapienza ai giovani.”

Si, parole e gesti che sembrano cercare tutti, senza dimenticare nessuno, senza differenze. È questo il primo grande messaggio che ricevo, da questo uomo che ho appena imparato a conoscere, anche se in realtà mi sembra di conoscere da tempo.

Concludo queste poche righe, che rispecchiano i miei sentimenti, donando un abbraccio sincero al mio fratello maggiore Papa Francesco.

 

Nel giugno del 2011 ospite negli studi di radio “Babboleo News” lanciai un NO-PORCELLUMappello per inaugurare un’iniziativa popolare che avesse come obiettivo finale la riforma elettorale.  Qualche giorno più tardi “Il Giornale”, dalle pagine genovesi, ospitò un mio intervento sempre in merito alla questione elettorale. Naturalmente quel appello è rimasto inevaso e gli effetti negativi di questa legge elettorale, vera porcata, con la quale siamo chiamati a scegliere i nostri rappresentanti, li stiamo subendo ancora oggi. Effetti che posso definire drammatici, considerata anche la grave crisi economica e sociale che stiamo attraversando;l’esito delle urne infatti non ha consegnato al Paese una maggioranza in grado di governare e rischiamo uno stallo che potrebbe determinare conseguenze catastrofiche.Ripropongo qui di seguito il mio intervento pubblicato da “ Il Giornale” nel  giugno 2011. I principi qui contenuti sono validi ancora oggi più che mai, e sono sempre più convinto che la democrazia abbia bisogno di una buona legge elettorale, per consentire di scegliere e non di occupare le istituzioni.

 

Intervento pubblicato nel giugno 2011

“La legge elettorale è l’ossatura di una democrazia, è lo strumento con il quale i cittadini scelgono i loro rappresentati, designano la classe dirigente.

Il sistema vigente in Italia non consente di esprimere la preferenza, non consente di eleggere ma di nominare deputati o senatori che il più delle volte vengono paracadutati in collegi a loro sconosciuti, e che tali rimarranno per il corso della legislatura. E qui nessun partito si salva.

Questo Paese ha l’esigenza assoluta di costruire un nuovo sistema elettorale, che sia in grado di dare la governabilità da una parte, e dall’altra di ridare alla gente il senso di partecipazione nella scelta della rappresentanza. Oggi l’elettore è spogliato del suo mandato, complice (non sempre volontario) di una cooptazione che lo riduce da soggetto attivo a passivo. Questo sistema alimenta quello che ultimamente sembra essere il primo partito: l’astensionismo.

La disaffezione per le elezioni politiche negli ultimi quarant’anni è cresciuta corposamente; l’astensionismo è passato dal 6,6% del 1976 al 20 % del 2008, toccando livelli inusitati nelle elezioni amministrative del 2010 dove addirittura ha raggiunto il 40% e in alcuni casi superato il 50 %. L’astensionismo in una democrazia è il termometro più visibile del grado di insoddisfazione dell’elettorato  e testimonia la crisi del rapporto fiduciario tra la base popolare e le assemblee elettive. Un sistema politico-rappresentativo in esaurimento, destinato a peggiorare quando le forme elettorali emarginano ogni reale possibilità di partecipazione dell’elettore. In questo clima le istituzioni diventano sempre più impopolari e cresce così la distanza dai cittadini. In base a una rilevazione Eurispes, infatti, solo il 14 % della popolazione si sente rappresentato dai partiti.

Siamo davvero nell’era della postdemocrazia? O siamo invece arrivati al momento del riscatto, in cui l’elettore torna ad assumere un ruolo decisivo e responsabile e la democrazia conosce la stagione della riforma?

Il problema è di ordine qualitativo. Occorre restituire ai cittadini la sovranità e al Parlamento ridare le funzioni che ha perso: sintesi, mediazione, confronto e soprattutto cerniera tra società civile e società politica.

Esiste un’Italia che chiede con forza – internet e i social network lo testimoniano – di voltare pagina. Le recenti elezioni amministrative da una parte, il referendum dall’altra dimostrano che il cambiamento è in atto e il risultato non si può attribuire a una forza politica in specifico. La sfida ora è saperlo interpretare.

Come ho avuto modo di fare ai microfoni di Radio Babboleo, torno dalle vostre pagine a lanciare un appello: chiedo al mio leader Pierferdinando Casini di farsi interprete di questa volontà, attraverso un’iniziativa popolare che abbia come obiettivo la riforma elettorale.

Questo perché in un parlamento ”scilippotizzato” (o come direbbe Lussana “mussato”) vane sono le possibilità di riuscita. Chiedo a Casini di non fermarsi alle cinquantamila firme canoniche, ma di raccoglierne un milione: bisogna dare a questa impresa un grande significato, un mandato chiaro e netto, un’investitura che parta dalla base.

Sta per partire un referendum per abrogare la porcellum. Un iter lungo che obbligherà a cambiare, e allora mi chiedo perché non intervenire prima, evitando inutili costi e perdite di tempo. Promuovere un’iniziativa popolare mi sembra il migliore strumento di partecipazione per introdurre la preferenza diretta, la libertà di scelta, la quota di sbarramento, il limite di rieleggibilità parlamentare e l‘abolizione delle candidature plurime in più circoscrizioni.

Una legge elettorale concepita con questi criteri avrebbe come conseguenza anche un ricambio generazionale necessario: non possiamo avere una classe politica, pur con i suoi meriti, che staziona da oltre trent’anni in parlamento. La società evolve e ha bisogno anche di nuovi “attori”.

Il modello a cui fare riferimento sono regioni e comuni dove c’è l’elezione diretta dei governatori e dei sindaci, dove si garantisce il bipolarismo – quindi il principio dell’alternanza – il proporzionale e la preferenza. L’Italia ha una sua identità e una sua specificità, non impantaniamoci guardando al sistema tedesco, francese, spagnolo o angloamericano, non facciamo l’ennesimo minestrone all’italiana. Serve una riforma vera e innovativa: è l’ora della responsabilità. La riforma elettorale è la madre di tutte le riforme perché consente di scegliere coloro che dovranno amministrare, dirigere e riformare. Senza questo passaggio essenziale il futuro appare incerto”
.

 

 


Ripropongo, a distanza di qualche mese (era esattamente il 26 luglio 2012) un mio punto di vista pubblicato sulle pagine de IL SECOLO XIX , in merito alla questione chiusura della Centrale Latte Oro di Fegino, problema tornato alla ribalta in questi giorni, sottolineando ancora una volta da una parte l’urgenza occupazione e dall’altra l’eccellenza dei prodotti tipici. Ripropongo lo stesso articolo, perché a distanza di qualche mese come affermavo, le mie considerazioni rimangono le stesse e in un certo senso torno a riproporle.

 

Centrale del latte Genova

PRODURRE A FEGINO IL FORMAGGIO “DOP” PER LA FOCACCIA DI RECCO

Salvare la Centrale del Latte di Genova  potrebbe sembrare un grido di battaglia, ma effettivamente rappresenta una realtà che va sostenuta con ogni mezzo e azione. Indispensabile per evitare probabili chiusure o piani d

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i ottimizzazione o ridimensionamento  che andrebbero a ledere fortemente la realtà produttiva genovese, una regia dove la Regione Liguria assuma la cabina di comando in concertazione con il comune di Genova. Occorre intervenire per salvare un’azienda che oltre ad avere una sintonia storico-tradizionale con il territorio, rappresenta un importante sito produttivo per la nostra città: non possiamo perdere altri posti di lavoro. Non possiamo creare nuova disoccupazione, la centrale del latte di Genova va salvata, le istituzioni si facciano promotrici di una task force  al fine di garantire e rilanciare un attività, la cui chiusura appare ingiustificata. Serve una seria alleanza tra il pubblico e il privato, dove l’obiettivo è univoco: evitare il traslocco o il trasferimento di un’importante risorsa come quella della centrale del latte genovese.

Per questo motivo deve essere avviato un processo in controten

denza alle attuali prospettive che emergono nel piano industriale della Lactalis.  Serve il massimo impegno volto a soluzioni finalizzate ad individuare nuove strategie  affinché il presidio industriale venga mantenuto in città, in primo luogo per tutelare i dipendenti, ma anche per salvaguardare il ricco indotto coi

nvolto . Solo nella Provincia di Genova, infatti, vengono prodotti quasi 60 mila quintali di latte all’anno, di cui 20 mila vanno alla Centrale di Fegino. Per l’imprenditoria locale, in particolare per gli allevatori, un’eventuale chiusura della Centrale del latte significherebbe ricevere un duro colpo, alla già non facile situazione economica che stanno attraversando. Senza sottovalutare l’importante azione che l’attività zootecnica rappresenta nella prevenzione degli incendi o dissesti idrogeologici essendo una forza di presidi

 

Occorre trovare fiducia in programmi  mirati come per esempio le azioni pilota adottate dalla Regione Liguria (2007/2013) indirizzate alla valorizzazione della filiera del latte ligure anche attraverso la sua integrazione nelle produzioni tipiche locali,come la realizzazione del formaggio per la famosa focaccia di Recco,  sulla base del progetto “Marte” per il quale sono stati messi a disposizione  50.000 euro di finanziamento.o territoriale.

 La crescenza, o stracchino genovese  ricavata con latte ligure, (con la quale si realizza la famosa focaccia di Recco), da alcune informazioni che ho assunto sarebbe prodotta fuori dal contesto del territorio ligure. Occorre quindi trasportare il latte, che è la materia prima di questa lavorazione,  a molti kilometri di distanza e questo aumenta notevolmente  il costo di produzione, visti i continui  incrementi di carburante e autostrade. Perché non produrre proprio a Fegino il tipico formaggio usato per la focaccia di Recco? Oltre che garantire la produzione del latte si potrebbe rilanciare la centrale anche attraverso la realizzazione dello stracchino genovese:  un formaggio di eccellenza, a kilometri zero.

Le urne, lo riconosco con estrema lucidità, hanno consegnato un dato chiaro ed inequivocabile: l’UDC ha ottenuto un risultato assai deludente, di pura sconfitta che penalizza il lavoro fatto in questi anni, e soprattutto il grande senso di responsabilità esercitato in quest’ultimo anno parlamentare.

PRESENTE-PASSATO-FUTUROGli elettori hanno bocciato di fatto scelte volute da uno stretto gruppo della dirigenza nazionale: è inutile parlare di scelte troppo condivise e di consultazioni che se non si sono mai fatte o che se esistono sono state esili e che non hanno saputo attingere dalle richieste territoriali.

Non è l’ora questa di lapidare nessuno, ma un processo a chi ha governato questo percorso deve essere fatto, perché credo che nessuno possa fuggire alle sue responsabilità, ne tanto meno liquidare un’esperienza che sul territorio è viva e qualificante.

Ieri nella seduta  del consiglio nazionale dell’UDC è stata votata la mozione presentata da Cesa che avvia il Congresso entro la fine di Aprile. Considero il congresso il luogo più opportuno per un confronto democratico fatto anche di contrapposizioni, di analisi che sappiano indicare quale strada dovrà essere intrapresa.  Perché si può parlare di una “stagione chiusa” ma non si può obbligare a tirare definitivamente le saracinesche su un’idea progettuale in corso.

Servono risposte serie, concrete e realizzabili: non si può continuare ad elaborare politiche manageriali di stagione, prodotti usa e getta finalizzati al puro consumo elettorale.

Serve il riscatto delle idee  che sappiano dare risposte, la crisi esiste nessuno la nega e nessuno può permettersi  il lusso di dire davanti alla ricerca di soluzioni “non si può fare” . Spetta alla politica risolvere ogni tipo di problema e dare risposte anche alla disperazione. Chi preferisce lavarsi le mani come Ponzio Pilato è meglio che soddisfi le sue ambizioni altrove, mentre c’è bisogno di impegno e di buona volontà.

Il congresso potrà essere la sede opportuna per rilanciare un’identità moderna lontana da echi nostalgici.

Condivido in pieno e faccio mie le risposte contenute nell’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera, a Marco Follini primo segretario UDC.

Oggi il Paese rischia una lacerazione profonda e pericolosa, non si possono sfruttare timori,  paure e la disperazione della gente, e altrettanto occupare la politica con l’arte degli insulti e promesse che offendono l’intelligenza e la sensibilità di tutti.

Occorre ricucire  un Paese partendo dalla libera consapevolezza che per consentire questa difficile operazione è inevitabile la realizzazione di un nuovo progetto culturale lungimirante .Occorre superare la superficialità e l’improvvisazione: l’attuale crisi, anche politica, merita risposte che siano  in grado di prospettare progettualità culturali e organizzative.

Il Centro non è morto come potrebbe decretare qualcuno, certo oggi non può presentarsi come la terza alternativa ma bisogna,invece, lavorare per inaugurare una nuova fase che sappia introdurre alla terza repubblica.

Un Centro nuovo può nascere dalla collaborazione dell’esperienza con le leve nuove: maggiore ruolo ai giovani, a facce nuove e non le solite che in questi anni hanno saputo cambiare più l’etichette ai partiti che le balie i pannolini ai bebè.

Oggi l’elettore è più maturo  libero e per questo più sensibile ma per questo non stupido.

Il coraggio delle idee, meno servilismo di bottega sono ingredienti per costruire un serio impegno congressuale.

E’ stata votata all’unanimità  nel corso dell’ultimo Consiglio comunale, la delibera con la quale il Comune di Sant’Olcese aderisce  al Manifesto “ Per una costituente della cultura”. Un atto molto importante, mirato ad avviare una nuova stagione che sia in grado di valorizzare la cultura come nuovo motivo di sviluppo economico, anche del nostro territorio. Per questo motivo , ringrazio tutti i componenti del Consiglio, che hanno compreso il significato e l’importanza contenuta nel documento approvato.

Il patrimonio storico artistico  e paesaggistico dell’Italia  costituisce una ricchezza e una risorsa importante, poco sfruttata e assai poco valorizzata. Gli investimenti in ambito di politiche culturali, di ricerca ed educazione nel nostro Paese è insufficiente e mortificante. Gli incessanti minori trasferimenti a regioni ed enti locali hanno colpito in modo significativo la cultura e le sue attività connesse.

Credo  sia assolutamente indispensabile una radicale inversione di tendenza, avvicinando la spesa pubblica per la Cultura ai livelli europei, perché fin troppo evidente, che un Paese che non investe  su cultura, conoscenza, sapere scientifico e creatività è un Paese che rinuncia al proprio futuro ed è condannato al declino.

Questa adesione anche da parte della nostra amministrazione,che non è un atto simbolico ma sostanzialmente responsabile, riconosce  alla cultura la sua centralità e il suo ruolo di motore di sviluppo e civiltà. Il Comune di Sant’Olcese s’impegna a sostenere le linee di indirizzo contenute nel manifesto “Per una costituente della Cultura”,  valorizzando e promuovendo il territorio, attraverso il suo patrimonio storico artistico e paesaggistico, nonché le manifestazioni culturali.

Le risorse impiegate per la promozione e diffusione della cultura, intesa in senso lato come strumento di conoscenza, d’innovazione e d’istruzione , generano  effetti significativi anche sotto il profilo dello sviluppo , nell’accezionemanifesto sole24 più ampia del termine, che comprende: economia, società, qualità della vita civile e senso delle istituzioni.  Le amministrazioni locali che hanno precise responsabilità di governo e quindi anche il nostro piccolo Comune di Sant’Olcese devono diventare laboratori concreti per ripensare il futuro e per garantire questo importante processo evolutivo.

 

 

«Casini ci ha preso per un gelato Algida»

Pensare che un anno fa tutti pendevano dalle labbra di Pierferdy pronto a consacrarsi come punto di riferimento dei moderati. Lui, il primo a rinnegare Berlusconi cinque anni fa quando scelse di mantenere il simbolo scudocrociatico e chiudere l’alleanza con il centrodestra, voleva essere il dopo Silvio. Invece, il Cavaliere è rimasto in sella mentre l’Udc è ormai un micropartito. Anche in Liguria le cose non sono andate bene, l’effetto traino che Rosario Monteleone sembrava aver dato è scomparso. Il più critico sulla situazione è Massimiliano Tovo, segretario cittadino a Genova.
In Liguria siete all’unovirgola. Dovrà pagare anche la dirigenza locale?
«Non cominciamo così. Anche perché se c’è qualcuno da difendere in questa situazione è Rosario Monteleone. Io ero già nel Ccd, sono rimasto l’unico ad aver vissuto ogni momento di questo partito, e posso assicurare che lui è stato l’unico, dal 2008, in grado di costruire una rete sul territorio, riuscire a fare eleggere consiglieri municipali, comunali, provinciali e regionali. Ha realizzato una rete che senza il suo lavoro non ci sarebbe»
Allora a chi diamo la colpa? Se la prende lei?
«Il colpevole è Casini. Ha fatto scelte sbagliate ed lo ha fatto solo. Non mi fa piacere lapidarlo, ma ci sono fatti inconfutabili che dimostrano come le sue scelte siano state profondamente errate»
Per esempio?
«Ha scelto Monti e lo ha fatto da solo. Doveva convocare il congresso nazionale un anno fa e non l’ha fatto, doveva consultare gli organi di partito per studiare le strategie per la campagne elettorale e non l’ha fatto»
Ecco, l’Udc funziona come il Pdl che tanto criticate..
«Esatto. Come possiamo attaccare il partito del predellino dove decide uno solo se il nostro modello è diventato lo stesso? Sono anni che Casini decide e noi proviamo a seguirlo»
Ma non dovevate trasformavi in Partito della Nazione?
«Tra il 2009 e il 2010 ha avuto quella idea, poi nel 2011 siamo passati al Terzo polo, quindi nel 2012 l’idea dell’Udc per l’Italia. E noi sempre a inseguirlo. L’Udc è sembrato un gelato dell’Algida che ogni anno presenta una versione diversa: un’estate è il gusto alla banana, quella dopo il pistacchio e così via»
Quindi piazza pulita?
«Io non ho mai visto uno che mette il suo nome sul simbolo di un partito e poi si candida con un’altra lista. Casini si faccia da parte per ricostruire qualcosa, ma quel qualcosa non è certo il partito di Monti che assomiglia all’esperienza Dini: minestre riscaldate che il nostro elettorato non segue»
Tornando in Liguria, Maurizio Rossi alla fine è un vostro senatore. La rappresenta?
«Figuriamoci, è uno che lancia accuse di incompetenza a politici che vengono eletti con i voti della gente e si fa inserire come testa di lista senza contarsi. Mi sembra la fotocopia in bianco e nero di Berlusconi, con tutto il rispetto per Berlusconi»
Però Monteleone avrà qualche responsabilità su un voto andato così male?
«È stato troppo buono e troppo obbediente. Doveva tirare fuori gli attributi e invece se n’è stato delle scelte nazionali».

Intervista realizzata da Federico Casabella