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La strada imboccata dal Sindaco Doria e dal CdA di procedere al licenziamento di 48 operatori del Teatro Lirico Carlo Felice è molto pericolosa e ricca di incognite; oltre che profondamente esecrabile sul piano politico e della tutela del lavoro. Doria è stato eletto soprattutto per la sua attenzione ai problemi sociali e dell’occupazione: questa sua reazione è, dunque, fortemente contraddittoria.

licenziamentoSul piano strettamente giuridico invito il Sindaco a prestare la massima attenzione ad assumere iniziative che potrebbero avere effetti boomerang e che potrebbero essere clamorosamente smentite dalla giurisprudenza decretando di fatto il default del Teatro. Un danno d’immagine irreversibile per tutta la città di Genova.

Mi spiego meglio.

Ci sono una serie di sentenze dei diversi TAR, che riconoscono alle Fondazioni Lirico Sinfoniche il carattere sostanzialmente pubblico e, notoriamente è impossibile licenziare nel settore pubblico soprattutto per chi è stato assunto su base concorsuale e non a chiamata  diretta, pertanto l’iniziativa messa in campo dal CdA del Carlo felice risulta già dal primo acchito irrisoria e impercorribile. Questa soluzione, promossa non so da quale mente così fine, si rivela come l’ulteriore e inutile perdita di tempo.

Particolarmente significativa la recentissima sentenza del TAR del Lazio del 5 giugno 2013,  in risposta al ricorso presentato dalla Fondazione Teatro Comunale di Bologna, dove si legge Il Collegio rammenta a tale proposito che, solo laddove non sia esplicitamente indicata la natura pubblica dell’organismo, la dottrina e la giurisprudenza insegnano che deve farsi riferimento ai c.d. “indici rivelatori della pubblicità” attraverso un’analisi in concreto della struttura, delle modalità di funzionamento e di finanziamento, dei controlli, il cui esito può portare o meno ad una qualificazione pubblicistica dell’ente, con conseguente applicazione della normativa (pubblicistica) di riferimento. Così come è noto, peraltro, che, anche a fronte di una qualificazione privatistica di un ente, non si esclude che questo possa comunque essere assoggettato a singole previsioni di carattere pubblicistico, come spesso avviene per quelle di derivazione comunitaria. Ciò perché la legislazione comunitaria non conosce, invero, una classificazione “statica” degli enti pubblici bensì “dinamica” in ragione della funzione o degli obiettivi che l’Unione europea stessa intende perseguire.” E ancora … “Anche il Consiglio di Stato, con la richiamata sentenza n. 6014/2012, ha operato analoghe valutazioni che, seppure riferite agli enti previdenziali privatizzati, possono ritenersi valide anche con riferimento alla fattispecie in esame, laddove si afferma che l’applicabilità di misure di finanza pubblica anche ad enti privatizzati “non è, infatti, frutto di una valutazione arbitraria dell’Amministrazione, ma, al contrario, corrisponde alla qualificazione pubblica degli stessi e ai criteri stabiliti dalla legge in coerenza con i principi desumibili dall’art. 81 della Costituzione e con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione”.

Invito il Sindaco a leggerla con particolare attenzione, magari con tutto il CdA del Carlo Felice, che potrebbe rispondere di eventuali scelte sbagliate. Credo, infatti,  che i lavoratori interessati da procedimenti così drastici come il licenziamento non esiteranno a difendere i propri diritti nelle sedi più opportune e con buone possibilità di successo. Ma nel frattempo il Carlo Felice sarà morto per la ostinata  continuità di logiche inadeguate.

La domanda nasce spontanea: si può cambiare? C’è ancora tempo per scelte appropriate e innovative? Si può passare ad un Carlo Felice che produce e non chiede più sacrifici inutili ai suoi operatori? Ma soprattutto si può abbondanare questo processo eutanasico ? Quando c’è la volontà … si può fare tutto, affrontare anche le missioni impossibili.

E, in ultimo, si faccia attenzione in materia di diritto comunitario  e alle disposizioni europee, che in questo caso non si prestano a interpretazioni.

Dopo l’esito del referendum su Carlo Felice, consiglio vivamente al Sindaco Marcoreferendum Doria di astenersi da ogni criterio di pseudo – vendetta. La politica della “ripicca” non è un buon segnale per la democrazia, soprattutto da chi ha fatto della democrazia partecipata un cavallo di battaglia. E non si amministra con il gioco del ricatto: o così o ti licenzio. Il Carlo Felice deve essere salvato attraverso un serio piano pluriennale, non con le soluzioni emesse in questi giorni. I lavoratori non hanno ceduto a nessuna pressione, e hanno dimostrato senso di responsabilità. Ora si rispetti l’esito del referendum non attraverso minacce o ritorsioni che dequalificherebbero la democrazia.

Si proceda come ho già chiesto a un Consiglio comunale sulla questione  più che mai urgente e se per una volta il sindaco sceglie di decidere lo faccia non tagliando posti di lavoro ma puntando su una maggiore produzione artistica.

 

Ecco cosa succede con la politica del rimandare, che prima o poi i nodi vengono al pettine. Il trasporto pubblico locale da anni in crisi, affrontato con una politica inadeguata a livello nazionale registra oggi sul territorio gli effetti deleteri di una totale assenza di responsabilità, anche davanti a importanti appelli emessi dalle amministrazioni nonché dalle preoccupazioni dei cittadini.

L’annuncio di Fossati, commissario straordinario della Provincia di Genova, su ATP evidenzia che è stato abbandonato a un tragico destino da chi poteva e doveva intervenire in tempo. Tragico destino che purtroppo coinvolge tutti i cittadini dei 67 comuni serviti dall’azienda di trasporto pubblico locale ATP, con ricadute che la classe politica oggi sottovaluta.  Il Parlamento latita, il Governo totalmente assente  davanti a un’emergenza nazionale e la Regione è congelata su un procedimento atteso con un atteggiamento davvero incomprensibile.

atpL’impotenza della Provincia, principale azionaria di ATP con quasi il 67 % delle azioni, è resa ancora più evidente dalla paralisi istituzionale innescata con il decreto che prevedeva l’abolizione e il passaggio alla Città Metropolitana oggi sospeso per gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale. È chiaro che il Commissario Fossati non disponendo di risorse per colmare il passivo eccessivo di ATP non abbia altre scelte, davanti all’indifferenza politica, se non cedere quote dell’azienda ai privati. Situazione gravissima: è come essere davanti a un malato terminale e decidere di procedere a un intervento chirurgico senza valutarne l’efficacia post operatoria, come dire non avendo altre possibilità tentiamo questo passaggio. Ci rendiamo conto che questo viene fatto sulla pelle degli operatori di ATP e  dei cittadini ? dove è finita la qualità della democrazia? Nei salotti dei format televisivi ?

Coinvolgere i privati nella gestione di ATP può essere una scelta di investimento per il futuro, solo dopo l’urgente riforma regionale; ma adottare oggi questa soluzione perché costretti, senza alternative, in questa fase, può comportare a una serie di ulteriori errori che devono essere assolutamente evitati. Cedere le quote ai privati, in assenza di una riforma legislativa, attesa da troppi mesi, significa svendere non solo sotto il profilo economico, ma svendere gli interessi del territorio , significa ledere la qualità del servizio emesso: con nuova razionalizzazione e sacrifici per tutti, un inutile calvario.

Lo ribatto ancora una volta alla Regione: intervenga ora per curare il malato e non dopo per l’allestimento della cerimonia funebre, comprendo le difficoltà in cui deve agire, intervenga presso il Governo !.Se è il caso,  il Consiglio regionale lavori tutto il mese di Agosto: non abbandonate i Comuni dell’entroterra a una tragica sorte,  non è mai troppo tardi ! Non lasciateci a piedi!

Se c’è qualcuno che ritiene inopportuno occuparsi della gravissima, drammatica crisi del trasporto pubblico locale (TPL), è bene evidenziare, tanto per citare qualche esempio che in realtà come Salerno, Caserta, Rovereto, Bologna, Parma, Biella, Novara, nel Lazio, e ancora Palermo il TPL ha già fallito. E i piani industriali adottati dai diversi enti locali, lasciati spesso e volentieri isolati in questa situazione preoccupante, non portano quasi mai agli obbiettivi fissati. Le ragioni sono differenti, soprattutto in assenza di una reazione  politica  nazionale.

autostop1È chiaro che esiste “un’emergenza nazionale” tanto evidente quanto non evitabile, che coinvolge purtroppo tutta la nostra penisola, isole comprese. Gli amministratori locali vengono abbandonati in un complesso gestionale che non può essere risolto se non attraverso una visione programmatica di carattere nazionale.

Trovo scandaloso distogliere l’opinione  pubblica con casi sì gravi come l’affare Ablyazov  e non occuparsi invece della situazione italiana sempre più affannata, in cui rientra la crisi del TPL. Il governo latita e non ritengo questo il momento per la deresponsabilizzazione politica.

Il caso ATP, il grido di allarme, considerate le condizioni economiche dell’azienda deve vedere l’impegno di tutte le istituzioni per evitare il fallimento, che avrebbe una pesante ricaduta, soprattutto un fortissimo impatto sociale su tutto l’entroterra genovese.

Non è questo il tempo per i Ponzio Pilato della storia, non è sufficiente sentirsi dire “ma in ogni caso il servizio minimo sarà comunque garantito”, quando siamo ben consapevoli che questo vorrebbe dire incidere con effetti maggiori sulla crisi economica e sociale delle nostri valli.

Chiedo alla Regione, e rinnovo il mio appello a Burlando e all’assessore Vesco comprendendo le difficoltà in cui agiscono, di intervenire presso il Governo per agire su quattro punti fondamentali:

1)     Rifinanziare il fondo per il TPL;

2)     Intervenire sul costo dei carburanti, esentando o riducendo sensibilmente dalle accise le aziende di TPL (ciò consentirebbe un notevole abbattimento delle spese);

3)     Intervenire sul sistema assicurativo perche a fronte della diminuzione dei sinistri del 14 % i costi hanno registrato un aumento pari a un 32 %: su questo ambito è compito del Governo e dei legislatori prevedere tempestivamente, secondo le regole di mercato, una normativa particolare. Tra l’altro sottolineo, in materia, le preoccupazioni espresse dall’antitrust ;

4)     Coinvolgere il privato attraverso nuove forme di partecipazione: interventi con capitali e inaugurazione di “sistemi misti” osservando le indicazioni del garante per la concorrenza. “

In ultimo però chiedo anche alla Regione di non sollevarsi dalle proprie responsabilità e di procedere alla riforma del TPL ferma in Consiglio regionale.

Torneremo a votare con il Porcellum ? Sono in molti a chiederselo e altrettanti a sperare in una nuova legge elettorale. Purtroppo se continua così la risposta è una sola: si voterà nuovamente con la legge “porcata”.no porcellum Eppure a sentire le dichiarazioni di tutti sembrerebbe prevalere il partito del “no”; ma poi al momento di agire nulla cambia e il torpore della “male democrazia” vince su tutto anche sul riformismo tanto gridato e mai raggiunto. Gli effetti sono davanti a tutti: ingovernabilità, parlamento di nominati e asfissia delle Istituzioni.

L’attuale sistema ha consolidato la disaffezione politica e l’avvento del populismo, lasciando lo spazio a una classe oligarchica che poco alla volta ha occupato il potere, svilendo il significato più profondo della democrazia partecipata.

La Corte Costituzionale che ha più volte espresso i dubbi di costituzionalità sull’attuale legge elettorale, è chiamata a giudicarne la legittimità costituzionale. Occorre attendere l’ennesima sentenza per cambiare ? E’ possibile che in Italia si rischia concretizzare qualcosa solo di fronte alle sentenze? Dobbiamo allora parlare di democrazia “sentenziale” per irrigidimento ozioso delle istituzioni?

Si può voltare pagina? E’ lecito sperare nel cambiamento quando la strada del rinnovamento dovrebbe passare attraverso i “nominati”? Esiste una ragione di fiducia in cui attendere ?

La produzione delle domande e dei dubbi potrebbe continuare, mi fermo nel evidenziare che il popolo aspetta, anche e con sempre meno fiducia, una nuova stagione. Non mancano le proposte, le iniziative anche lodevoli, ma scarseggiano gli uomini e le donne di buona volontà. Il servilismo inaugurato dall’oligarchia occupante offre rendite di posizione più vantaggiose rispetto alle responsabilità del mandato elettorale.

C’è pure chi vorrebbe proporre un referendum per abolire il Porcellum e sul quale esprimo la mia immediata riserva. Non è il momento si spendere ulteriori risorse su un quesito la cui ovvietà è chiara e più che evidente e in ultimo siamo così sicuri che successivamente sarebbe rispettata la volontà popolare? Quando non si è in grado di osservare le sentenze emesse dalla Corte Costituzionale?

Se a guidare le attività e le agende politiche fosse il buon senso, gli italiani avrebbero in che sperare, ma sino ad oggi il beneplacito del dubbio domina incontrastato.

Un colpo di caldo? O una attestazione di un eccesso di non intelligenza? No l’ennesima conferma che la deficienza non va mai in ferie.  L’offesa che il signor Calderoli, padre dell’attuale legge elettorale nonché  vicepresidente del Senato, ha diretto ieri ignobilmente al Ministro Kyenge, ribadisce come la stupidità regni incontrastata soprattutto in certi ambienti da dove invece dovrebbe pervenire un profilo di altro esempio istituzionale.punto-interrogativo

Da più parti, bipartisan, si richiedono le dimissioni dalla vicepresidenza del Senato, la cosa più grave e offensiva per un popolo democratico come il nostro, è sapere, comunque, che il signor Calderoli rimarrà Senatore della Repubblica.

Da ministro la storia lo ricorderà come un’icona di incompetenza e di errori che si sono abbattuti direttamente e indirettamente sui cittadini, da Vicepresidente del Senato( e bisognerebbe chiedersi chi è stata la mente così intelligente per indicarlo ed eleggerlo ad una così alta funzione di responsabilità) continua a sparare cazzate su cazzate.

Forse non bisognerebbe neppure tanto gridare allo scandalo considerato il personaggio, ma credo che il soggetto abbia davvero e da tempo superato ogni limite di decenza.

Le parole usate ieri in un comizio (non posso dire politico perché la politica deve rifiutare questi episodi) offendono la democrazia e alimentano l’odio razziale che va respinto senza se e senza ma.

Non farò nessuna comparazione con nessun animale, anche perché in questo caso potrei essere denunciato dall’animale chiamato in causa; ma mi limiterò a far mie alcune considerazioni ben espresse nell’editoriale di Gian Antonio Stella, pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera.

L’affermazione vergognosa  rivolta al ministro Kyenge è l’ultima di una lunga serie che identificano la portata culturale di Calderoli. Vediamone alcune: “ Sul terreno dove dovrebbe nascere la moschea farò pascolare i maiali”; “ C’è ancora qualche mongoloide che vota Ulivo” ( scandalizzando i disabili per il paragone indecente); rivolto al Cardinale Tettamanzi “Con il territorio non c’entra niente sarebbe come mettere un prete mafioso in Sicilia” mentre guardando all’America di Obama “Non vorrei tra cinque anni trovarmi un presidente abbronzato”; e ancora per il trionfo dell’Italia sulla Francia ai mondiali esultò”per la vittoria della nostra identità …(contro una squadra) che aveva schierato negri, islamici e comunisti”; o ancora quando aveva sostenuto “che la civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni”.

Ci sono politici, ministri senza scomodare i grandi Statisti, che saranno ricordati per le loro citazioni, Il signor Calderoli( scusate non riesco a chiamarlo Senatore) passerà agli onori della cronaca per le sue pillole di idiozia mediatica.

Dal ministro Giampiero D’Alia , che ho ringraziato pubblicamente attraverso Twitter, un paragone davvero forte ma responsabile: Calderoli “usa un linguaggio  da Ku Klux Klan”.

Miglior copertina della giornata la prima pagina de IL Secolo XIX: “ Calderoli paragona il Ministro Kyenge a un orango , “E LUI A CHE ANIMALE VI FA PENSARE?”

Concludo con il pensiero di Gian Antonio Stella che riporto per intero:

Quanto al fatto che «scegliere dei ministri stranieri è una scelta sbagliata» e che lui non conosce casi di «italiani ministri all’estero», l’ancora (incredibilmente) vicepresidente del Senato scorda che Henry Kissinger era nato in Baviera ma diventò il potente segretario di Stato americano. Che il premier belga Elio di Rupo per «ius sanguinis» è italiano. O che a salvare l’onore della Francia dopo la disfatta di Sedan, dopo che «il più francese dei francesi» Napoleone III si era arreso ai prussiani, fu il figlio d’un immigrato, Leon Gambetta. Che era diventato francese solo undici anni prima”.

 

Davanti a un comportamento del genere una scuola seria avrebbe deciso l’immediata espulsione dell’autore: è possibile che nelle pieghe del Regolamento parlamentare non si possano trovare soluzioni o provvedimenti commisurate alla gravità di certe situazioni? È possibile che il parlamento consenta a certi individui di scorazzare cosi liberamente ? Il Parlamento deve essere il luogo di confronto democratico no il palcoscenico per drammatiche commediole.

La questione ATP registra oggi un’ulteriore aggravarsi con pesanti preoccupazioni che investono tutto il territorio atpprovinciale. Non è certamente una sorpresa perché oramai è da anni che la minaccia fallimento ATP suona come una sirena purtroppo non sempre ascoltata. A confermare l’allarme sono le parole del Commissario Fossati, che ha annunciato, o fatto intendere, il possibile crack a settembre se non ci sanno nuovi eventi.

Il rischio di portare i libri in tribunale nel mese di settembre decretando il fallimento dell’azienda di trasporto pubblico locale è oggi più che mai elevato: codice rosso. Solo 1 milione e 4 mila euro la somma che la Provincia di Genova potrà mettere a disposizione per quest’anno; un contributo insufficiente che non consentirà ad ATP, se non si troveranno altre risorse, di poter continuare ad erogare il servizio. Servono almeno altri 2,5 milioni di euro per garantire la continuità, altrimenti i comuni percorsi dalle famose corriere azzurre, rischieranno di rimanere a piedi.

Da quando la Provincia di Genova è stata commissariata, per effetto decreto abolizione delle province, ha visto decrescere i trasferimenti dal Governo riducendola come in questo caso, ad essere impotente.

L’attuale CDA di ATP si trova a fronteggiare una situazione determinata da precedenti e sbagliate gestioni, costretto a presentare un piano industriale, che i comuni ancora non conoscono, ma di difficile digeribilità.

Vorrei che fosse fatta luce soprattutto su chi ha sbagliato prima e scongiurare la reale possibilità di vedere i Comuni dell’ntroterra senza servizio dal prossimo autunno.

Faccio appello per questo motivo al Presidente della Regione Claudio Burlando perché agisca su due fronti: primo facendo pressing sul Governo Letta alfine di avere nuove risorse per il TPL, secondo che intervenga per velocizzare urgentemente la riforma del TPL, oggi ferma in Consiglio regionale, senza la quale non sarà possibile realizzare nessuna ipotesi .

A rischio, in questo momento di profonda crisi, è la tenuta economica e sociale di tutto il territorio provinciale.

“Sulla grave situazione del Teatro Carlo Felice, senza alcuna natura polemica, stiamo assistendo a una desolazione completa, affrontata con criteri d’urgenza senza interventi finalizzati a una programmazione lungimirante nell’ottica di una nuova strategia. Dalla politica sino ad oggi un eccesso di deresponsabilizzazione, non si può più accettare questo clima di apatia e di rassegnazione, soprattutto in una città come Genova che nel 2004 è stata capitale Europea della cultura.

Ora basta! Basta con le inutili attese, basta con l’approssimazione di soluzioni temporanee prive di definizioni reali e dinamiche. Basta con l’assunzione di registri conosciuti e fallimentari. Non servono “tapulli” che suonano come campane a morto. Serve uno spirito innovativo che sappia cogliere da questa drammatica realtà l’occasione di rilancio, e la cultura può rappresentare un motivo concreto di sviluppo economico.

Nella tanto auspicata stagione delle riforme la politica deve saper coinvolgere anche la ricca realtà della Cultura: servono riforme strutturali che consentano la rivalorizzazione del patrimonio culturale italiano e ligure.

Nel quadro di queste riforme rientrano anche gli aspetti legislativi degli Enti Lirici e, considerata la situazione odierna non si può più continuare con la politica del rinvio.Carlo Felice De Ferrari

Sul caso specifico  del Carlo Felice purtroppo sino ad oggi non ho individuato interventi propositivi, ma contrapposizioni non esaustive. Le soluzioni che si tentano di proporre per salvare l’Ente lirico genovese sono inadeguate, rischiano di creare un collasso generale: un default che deve essere evitato assolutamente.

Avevo fatto un appello proprio al Sindaco Doria e all’assessore competente per la convocazione degli Stati Generali della Cultura: nessuna risposta, l’appello è caduto nella totale indifferenza. Oggi davanti al continuo aggravarsi, ho chiesto, come Segretario dell’UDC genovese, al mio gruppo consiliare a Tursi di farsi promotore per una convocazione straordinaria del Consiglio Comunale dedicato esclusivamente alla situazione del Carlo Felice e la crisi che sta interessando il settore della cultura a Genova. Mi auguro nell’ambito del Consiglio comunale che questa occasione possa che essere raccolta da qualsiasi forza politica. E’ doveroso, giunti a questo punto, il Sindaco Doria compia un atto di responsabilità di fronte al Consiglio per aprire un confronto costruttivo e, soprattutto, propositivo.

Pacor ha minimizzato la gravissima crisi del Carlo Felice, lo ritengo un atteggiamento non responsabile da parte di un sovrintendente, se non è in grado di intervenire efficacemente dovrebbe riflettere sul futuro del proprio incarico.

La proposta presentata ieri alle organizzazioni sindacali segue l’emergenza e promuove misure inadeguate.

Occorre, invece, intervenire sia sul piano locale sia sul piano nazionale per le diverse competenze. Spetta al Parlamento e al Governo tracciare una riforma che valorizzi la cultura come volano di sviluppo economico, tra questi merita particolare interesse la riforma degli enti lirici.

 

LA MIA PROPOSTA

–          è necessario inaugurare una politica economica mista, ovvero partecipazione di pubblico e privato. È indispensabile passare da una logica di sponsorship ad una di partnership per condividere con il privato obiettivi e finalità nel medio e lungo periodo.

–          Serve una programmazione lungimirante, che sia triennale o quinquennale deve fissare obiettivi da raggiungere.  Quindi il reperimento di risorse come piano di investimento. Questo aspetto è oggi  assente !

–          I contratti di solidarietà non sono la strada giusta: il 60 % in meno di lavoro per alcune tipologie di contratto è la testimonianza diretta dell’incapacità con la quale è stato affrontato il problema; bisogna andare controcorrente, il passivo del Carlo Felice è dato anche dalla  scarsissima offerta  di programmazione: non è possibile organizzare 46 serate su 365 giorni in un anno. Aumentando la produttività aumentano le entrate, razionalizzare la produzione non riduce il debito ma ne consolida i costi;

–          Per risolvere  non è utile vendere ulteriore patrimonio immobiliare, perché risolve solo temporaneamente il problema: occorre invece attrarre i privati, stimolandoli a partecipare attraverso una nuova politica di agevolazioni fiscali;

–          Inserirsi nella ambito di Europa Creativa 2014/2020 dove saranno messi a disposizione un miliardo e ottocentomilioni di euro per attività culturali: fare del Carlo Felice e di Genova un progetto pilota europeo;

–          A livello UE uno dei provvedimenti più significativi per il finanziamento pubblico indiretto è rappresentato dall’aliquota IVA, anche qui si può guardare ai successi registrati in altri Paesi;

–          Destinare parte dei proventi del lotto e lotterie  agli Enti Lirici, ma solo dopo l’urgente riforma legislativa del settore;

–          In ultimo che fine hanno fatto i proventi raccolti dalla tassa di soggiorno? Come vengono impiegati?

Amara consolazione? o soddisfazione ? nell’apprendere ieri pomeriggio la decisione della corte Costituzionale in merito alla riorganizzazione delle Province ? Potrei esordire con un “lo avevo previsto”. Il decreto “salva Italia” conteneva elementi di carattere anticostituzionale, per non parlare del successivo decreto dove veniva istituita la Città Metropolitana : un vero pasticciaccio. La Famosa Spending Review, sulla quale è bene sottolinearlo la Corte ancora non si è espressa! Avevo ragione, quindi, nel sostenere che quel decreto andava coretto, e che il Parlamento dovesse intervenire. Invece nulla !

Oggi il ministro  Quagliarello afferma che il Governo varerà una “riforma Costituzionale”, mentre il Paese rischia una paralisi istituzionale. Si doveva intervenire prima, mentre in Italia si aspetta sempre l’esito delle sentenze anche davanti all’evidenza.

Ripropongo, qui di seguito, la relazione che presentai al Comitato Cittadino UDC di Genova e approvata ad unanimità. Purtroppo inascoltata da chi doveva assumersi l’onore della responsabilità.

RELAZIONE

LA CITTA’ METROPOLITANA, QUALE MODELLO COSTRUIRE PER GENOVA

La crisi internazionale che coinvolge anche il nostro Paese sottolinea che non la si può affrontare con leggerezza o misure destinate ad essere inique. L’esigenza di intervenire con misure incisive e definitive anche nelitalia_1_200si riconosce al Governo Monti di aver iniziato coraggiosamente il percorso di riforma, anche se si intravvedono alcuni rischi che potrebbero comprometterne l’iter conclusivo.

Crediamo che il processo inaugurato dalla cosiddetta “Spending Revieu” debba andare in direzione di una maggiore semplificazione atta a non complicare la vita, pertanto l’assicurazione per garantire i servizi ai cittadini, alle famiglie e alle imprese, è per noi un dato irrinunciabile. Questa fase di revisione degli assetti istituzionali deve essere intesa come l’occasione per ridefinire la struttura periferica dello Stato affinché sia possibile riarticolare la gestione dei servizi locali e dei compiti istituzionali sulla base delle nuove aggregazioni. Deve essere l’occasione per compiere il primo passo verso la costruzione di un sistema istituzionale più efficace ed efficiente, insieme competitivo e trasparente.

“Non serve un riordino delle Province, una ridefinizione degli enti se alla fine del percorso avrà prevalso il detto “tutto deve cambiare perché tutto deve restare come prima”.

La soluzione adottata con decretazione d’urgenza nel provvedimento di revisione della spesa pubblica, sotto certi aspetti appare troppo affrettata e si offre diverse critiche per i molteplici argomenti didebolezza e di ambiguità.

Nell’ambito della stagione delle riforme tanto annunciate e mai terminate, si evidenzia, da molti anni, l’esigenza di creare un’innovativa forma di governo idonea per le grandi strutture urbane. Ovvero, per quelle aree, non necessariamente molto estese, ad alta ma anche a bassa densità, costituite, di regola, dal Comune capoluogo e da altri comuni in contiguità territoriale, da centri e periferie, da aree forti per economia e servizi e da aree deboli, dove risaltano relazioni economiche e culturali fortemente integrate e interessi complessi che superano i singoli confini comunali.Realtà dove è presente una domanda di fruizione comune di servizi che si configurano sempre più come un unico complesso, strettamente integrato.

Il fenomeno, che ha caratterizzato le grandi città del continente europeo e non solo, creato all’origine dall’avvento della società industriale, con il passare del tempo si è aggravato per gli effetti della globalizzazione e la presenza in questi territori di un numero sempre più crescente di non residenti “fruitori” giornalieri o per periodi limitati nell’anno dei servizi urbani (turisti, uomini d’affari, studenti, ecc).

Successivamente sono cresciute concentrazioni urbane, e, più in generale, le cosiddette “città diffuse o esplose” , quelle che si estendono nel territorio contiguo ai propri confini convenzionali e diventano luogo di intersezione, e, nello stesso tempo, di frammentazione, di diverse relazioni economiche, sociali e culturali.

Questo fenomeno per la complessità e varietà delle problematiche sottese, non e gestibile, con efficienza ed efficacia, con le strutture amministrative locali tradizionali (comuni e province), e perquesto motivo deve essere affrontato con altri modelli di governo; anche perché i comuni capoluogo di queste realtà urbane si trovano sempre più in affanno nel governare le problematiche dell’area, che interessano oltre i loro confini municipali, quali i trasporti, la qualità dell’ambiente, l’organizzazione e gestione dei rifiuti, la viabilità, ecc.

I progetti di istituzione delle città metropolitane nel corso degli ultimi 20 anni sono stati diversi ma sino ad oggi disattesi (fatta eccezione per la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, dove l’ente”città metropolitana” ha ottenuto, il pieno riconoscimento costituzionale artt. 114, 117,118 e 119 Cost.): dal primo più datato della legge n. 142 del 1990 (artt.17- 21), all’altro del testo unico degli enti locali n. 267 del 2000 (artt. 22 – 27), per passare alla Legge Loggia del 2003, a quella più recente sul federalismo fiscale L. n. 42 del 2009 (art. 23).

La questione è rimasta irrisolta per differenti ragioni: per un verso, la difficoltà di applicare il modello di governo unico e non differenziato della sovracomunalità, e per l’altro, l’esistenza di forti veti istituzionali incrociati, che hanno paralizzato l’azione delle regioni e delle autonomie locali.

La questione delle città metropolitane, dopo disparate e disorganiche modifiche, ha trovato, quindi, il suo rilancio in un provvedimento di decretazione d’urgenza, estraneo alla materia del riordino istituzionale e dedicato alla revisione della spesa pubblica per centrare gli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei. Mentre sarebbe stato auspicabile che la regolamentazione definitiva di questo nuovo ente fosse contenuta nella nuova Carta delle Autonomie, giacente da tempo in Parlamento (ddl S. n. 2259), ossia in un progetto organico di ridefinizione del sistema delle autonomie locali.

Nel sottolineare l’importanza di un nuovo assetto istituzionale, in grado di accogliere le nuove sfide introdotte dall’era globalela città metropolitana quale nuovo ente dovrà essere la sintesi di quanto sinora affermato. L’articolo 18, della Legge 135/2012, che va modificando alcune realtà provinciali, presenta a nostro avviso caratteri di difetto costituzionale. La disposizione risulta non propriamente chiara, a tratti confusa e di complessa applicazione con il rischio di ulteriori aumenti di costi specie, in quelle realtà in cui sarà attuato il previsto frazionamento del capoluogo in più comuni.

È opportuno evidenziare, per diverse ragioni, la prevedibile vulnerabilità sotto il profilo di un eventuale scrutinio di costituzionalità, per almeno tre aspetti fondamentali:

1) La scelta dello strumento della decretazione d’urgenza, in mancanza evidente dei presupposti della straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 della Costituzione;

2) Lo scioglimento anticipato degli organi eletti a suffragio universale e diretto, prima della loro naturale scadenza, in violazione degli articoli 1, 5 e 114 della Costituzione;

3) La configurazione della città metropolitana come ente di secondo grado, in contrasto con gli articoli 5 e 11della Costituzione.

Sottolineiamo tra l’altro nelle anomalie contenute in questa disposizione, il riferimento alla metodologia elettiva, la dove si adotterebbe il modello di secondo grado introdotto dal decreto “Salva Italia”. Infatti su questo è da riferire un ricorso presso la Corte Costituzionale sulla legittimità costituzionale dell’articolo 23 che introduce il modello elettivo di secondo livello. Se la Corte Costituzionale dovesse riconoscere la non legittimità, quali sarebbero gli effetti? Soprattutto davanti a questo quesito perché proporre, e quasi imporre questo modello per l’elezione per la città metropolitana ?. Noi crediamo nei modelli partecipati e democratici, dove le diverse espressioni territoriali sono garantiti e rappresentati: questa scelta non troverebbe garanzie per le minoranze, ecco perché siamo estremamente convinti che l’unico metodo elettivo adottabile, per la città metropolitana, sia il suffragio universalel’elezione diretta, di difficile realizzazione attenendosi all’attuale disposizione, se non spacchettando il capoluogo , come alcune altre realtà politiche hanno di fatto pensato. Ma questa scelta comporterebbe a un ulteriore aumento di costi, e altre problematiche, ed è il motivo che se pur coraggiosa nella sua enunciazione, considerando gli eventi odierni, non possiamo, in questa fase, condividerne la sostanza.

Il progetto così predisposto è destinato ad un probabile insuccesso e, se attuato, rischia di consegnare alla collettività solo una nuova provincia, rinominata “città metropolitana”lo stesso ente provinciale rafforzato nelle funzioni di area vasta, ma fortemente indebolito nella sua rappresentatività democratica della collettività amministrata a causa dell’elezione indiretta dei suoi organi di governo. E noi questo modello non possiamo condividerlo ne tanto meno sostenerlo.

Occorre puntare sulle funzioni della futura città metropolitana, non possiamo fermarci a fermarci alla configurazione della Provincia, la sfida vera è andare oltre, gli esempi in materia non mancano, spetta al legislatore cogliere questa opportunità.

Per esempio si potrebbe provvedere un intervento sulla non ben definita funzione fondamentale relativa alla “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, arricchendola di contenuti in rapporto di competenze con Stato e Regioni.

Basti pensare, ad esempio, al tema delle vertenze per esuberi lavorativi delle grandi aziende, degli incentivi alle imprese, del sostegno ad infrastrutture e telematica, all’operato di promozione delle Camere di commercio.

La città metropolitana per essere realmente utile e diversa dagli altri enti locali dovrà assumere specifiche competenze, sottratte a Stato e regioni o, in alcuni casi, in concorso con esse, finalizzate allo sviluppo economico. “I grandi appalti per i nodi autostradali, gli aeroporti; le vertenze sulle crisi aziendali delle grandi aziende (che impiegano generalmente lavoratori dell’hinterland); le iniziative di promozione dell’economia e delle aziende anche all’estero (caso Expo, ad esempio). Sono queste, per fermarsi a qualche esempio, le funzioni che dovrebbero caratterizzare la città metropolitana di Genova per rendere davvero utili per il territorio.”

Siamo sinceri, avremmo preferito un iter più razionale, che partisse prima dalle funzioni della città metropolitana per poi giungere alla definizione territoriale con la totale abolizione delle Province.

Così non è stato, ma con grande senso di responsabilità che ci contraddistingue nel panorama politico locale e nazionale, accettiamo la sfida non con la cultura del no, ma con la consapevolezza che è ora di rimboccarsi le maniche: ce lo chiede la storia, ce lo chiedono le giovani generazioni.

Nell’espressione di questa relazione non abbiamo fatto mancare le nostre osservazioni, anche critiche ma pertinenti al conseguimento di un obiettivo che non possiamo più permetterci di rimandare ulteriormente.

Abbiamo delineato alcuni elementi che a nostro avviso potrebbero compromettere il risultato finale, ed esprimiamo parere favorevole nel riconoscere la città metropolitana quale nuovo Ente locale. Il nostro contributo è diretto a eliminare ogni possibile rischio di default del processo istituivo, e mira alla realizzazione di una città metropolitana funzionante ed efficace, per questo motivo invitiamo a non perdere tempo a non trasformare questa opportunità in ennesimo buco nell’acqua. Crediamo per questo motivo che il margine di tempo, con scadenze che ci sembrano troppo rigide, dovrebbe essere rivisto consentendo un apporto di migliore qualità nella definizione di questo nuovo sistema locale.

La città metropolitana può e deve essere lo strumento per dare vita a un Ente nuovo, moderno, trasparente ed efficace per affrontare le nuove dimensioni che la società globalizzata presenta.

Grazie a tutti per il grande senso di partecipazione e collaborazione offerta nell’analisi di questa tematica, punto cardine per la Genova del futuro, la Genova del domani.